11 agosto – Pellegrini o installati? 19a domenica del tempo ordinario anno C

Pubblicato giorno 9 Agosto 2019 - ARTICOLI DEL BLOG, Commenti alle letture festive 2019

Condividi su:   Facebook Twitter Google

 

da Messale festivo 2019 EMP

19a domenica del tempo ordinario

Pellegrini o installati?

 

Con le letture scelte per questa domenica, siamo invitati a entrare nel dinamismo della fede con rinnovata consapevolezza di ciò che essa vuole mettere in moto in noi. Infatti, la fede, prima di essere un contenuto di verità teologiche è movimento, è slancio del cuore, è fremito e passione che sempre si rinnova a contatto con la storia sacra e con la nostra storia. Ne deriva una prima domanda: ma se la fede è movimento, chi è davvero Dio? Dio non è un manuale di teologia e neppure lo abita, Dio non è un insieme di riti, Dio non è un’etica morale… Dio è il Vivente che ama i vivi! Egli non abita gli spazi siderali, non abita i templi, ma abita la storia, ed entra in relazione con ogni uomo, in ogni tempo. È il Dio vivente che cammina con l’uomo. Ne consegue una seconda domanda: siamo gente in cammino, siamo un popolo di pellegrini o siamo gente installata? La domanda su Dio è una domanda su di noi: siamo chiamati alla stessa vita e allo stesso destino!

prima lettura    La notte della liberazione fu preannunziata perché avessero coraggio

La nostra immagine di Dio, sia essa personale o collettiva, corrisponde all’esperienza che abbiamo di lui? O è un’immagine avulsa dalla vita concreta e dall’esperienza? Proprio «l’esperienza» è la chiave che ci introduce al senso del brano tratto dal libro della Sapienza. L’esperienza di Dio che Israele fa è di un liberatore, che affranca dalla schiavitù e infonde coraggio. Dio non è uno che evita a Israele l’umiliazione della schiavitù, dell’esilio e della deportazione, ma è un Dio che libera dalla schiavitù, che ridona libertà e gioia. …E noi che esperienza abbiamo di Dio?

seconda lettura    Videro i beni promessi e li salutarono solo di lontano

La lettera agli Ebrei ci aiuta a tenere viva la domanda sulla nostra esperienza di Dio attraverso una moltitudine di esempi. L’esperienza di fede è la forma concreta della relazione con Dio: la fede è posta a fondamento di ciò che si spera perché essa nasce dall’ascolto di lui e, nella fattispecie, della sua promessa, della sua proposta di alleanza. Se sperassimo ciò che non ci è stato promesso, saremo degli illusi e dei pazzi. La fede è prova di ciò che non si vede in quanto ci trascende, non essendo, ciò che ci è promesso, ancora presente. Essa non esaurisce la promessa nel perimetro della nostra vita: la promessa è sempre anche per i nostri figli e si dilata fino alla fine dei tempi, pur riguardando ciascuno di noi personalmente. È prova di ciò che non si vede, perché non tutto della realtà cade sotto i nostri sensi: ma il cuore vede più lontano degli occhi!

vangelo    Siate simili a quelli che aspettano

Il testo di Luca parte da una rassicurazione di Gesù e dall’invito a non temere, perché siamo oggetto della compiacenza divina che desidera parteciparci il suo regno. La parola di Dio non è mai meramente consolatoria, non è mai un’amichevole pacca sulle spalle nei momenti dello scoraggiamento. La parola di Dio ci invita a osare il primo passo, come Pietro sulle acque; ci chiede di fidarci, di porre a fondamento della nostra vita un’esperienza che non abbiamo ancora fatto. Chi fra noi ha venduto ciò che è in suo possesso e lo ha dato in elemosina con cuore misericordioso al suo prossimo, solo per aver udito la Parola di oggi? …La parola di Dio ci mette in un certo modo spalle al muro, costringendoci a confessare la nostra avarizia incredula e calcolatrice, ossia la nostra mancanza di fede. Se Dio non avesse fede in noi, non ci avrebbe creati liberi dopo averci donato tutto l’universo perché lo coltivassimo e lo custodissimo. Come possiamo dunque entrare nel regno promesso? Vi entriamo quando la nostra fede è confessata col cuore e con le mani: se il cuore dice di amare Dio, ma la mano non aiuta il fratello, non possiamo accedere al regno. Se nella nostra vita non c’è posto per l’attesa dello Sposo, per il suo ritorno alla fine dei tempi, il nostro modo di rapportarci ai beni temporali, alle persone, all’economia, alla politica, al vivere e al morire sarà orientato al business e al profitto: cuore e mani andranno in due direzioni diverse. Ma perché non ci accada di pensare che la fede sia solo mano, ci soccorre la domanda che Pietro rivolge a Gesù in nome di tutti noi. Pietro vorrebbe circoscrivere l’esperienza di Dio a determinati ambiti del vivere, vorrebbe limitarne le conseguenze. La risposta di Gesù ci fa comprendere che il cuore non è sdolcinatura, non è «affettata religiosità» (Col 2,23): il cuore è responsabilità per i fratelli, che in nome di Dio vanno guidati con amore, ammaestrati, consigliati, provvisti di tutto ciò che è bene.

Condividi su:   Facebook Twitter Google