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Nessun carisma, nella Chiesa, è dato per se stesso e ha senso per se stesso: tutti i carismi, doni dello Spirito, sono per la Chiesa. Il nostro carisma clariano, inoltre, è complementare a quello dei frati minori e dei laici francescani. A fondamento della grazia di ricevere un dono che è per tutti è la disponibilità lasciarsi continuamente determinare da questo dono, a lasciarsi formare.

La vita consacrata ha il suo centro nella persona di Cristo. Al centro della vita di Francesco e Chiara c’è la persona di Cristo; ma non la persona di Cristo considerata come oggetto di studio, come ad esempio farebbe una fenomenologia delle religioni che si preoccupa di dire il posto che ha Cristo in quel fenomeno che si chiama cristianesimo, in quel fenomeno che è la vita consacrata. Noi infatti entriamo in rapporto con Cristo in quanto Cristo è entrato in rapporto con noi. E il modo con cui Cristo entra in rapporto con noi è chiamandoci. Quindi è un guardare a Cristo all’interno di un rapporto voluto da Cristo. È entrare in rapporto con Cristo non per una iniziativa nostra. Non siamo qui a parlare di un nostro interesse conoscitivo della persona di Cristo. Vogliamo andare al fondo della sorpresa della iniziativa che Cristo ha preso con noi – e questa iniziativa si chiama vocazione -, attraverso un percorso non opzionale, cioè un percorso concreto che è quello segnato dal carisma di Francesco e di Chiara, in  una storia che mi vede chiamato, scelto e letto. Queste sono parole che, pronunciate in rapporto con la cultura contemporanea, mettono in imbarazzo: che uno faccia una scelta radicale, anche di vita religiosa, di non sposarsi, di vivere in povertà potrebbe non mettere troppo in discussione un giovane di oggi, una ragazza di oggi. Quello che mette in discussione tutto è il fatto che uno riconosca di essere chiamato da un Altro, cioè che ci sia l’iniziativa del Mistero nei miei confronti e che la mia scelta sia in realtà un riconoscere di essere scelto. Questo è l’elemento dirompente in una cultura che ha fatto della soggettività e dell’autonomia il proprio punto di riferimento. Questo a mio avviso è veramente il punto, è l’elemento che più imbarazza tutto il percorso formativo, perché si può essere dentro il monastero, dentro il convento, anche per anni, facendone una cosa propria, vivendo una propria scelta e non andando al fondo di un essere scelti. Questa differenza, a livello formativo, è enorme: perché sua la conseguenza più evidente è a livello di tenuta. Un conto è che io scelga una cosa un giorno… e dopo un po’ di anni ne posso scegliere tranquillamente un’altra, un altro conto è che io riconosca nella mia vita la scelta che il Mistero ha fatto di me. Allora io non posso più accedere al mio io se non riconoscendo il mistero della mia vocazione, che per natura sua dice l’essere chiamato da un Altro. Questo, secondo me, è il punto anche culturalmente più dirompente oggi. Siamo dentro una cultura che in cinque secoli è giunta – con dei passaggi estremamente delicati, uno dopo l’altro – a costituire il volto umano soprattutto nella sua capacità di autodeterminazione soggettiva.

Per certi aspetti, se io dovessi insistere radicalmente su questa percezione dell’umano come autodeterminazione, la stessa idea di formazione non sarebbe pensabile perché la vita sarebbe semplicemente lo svolgimento di un proprio progetto. La stessa idea della comunicazione di un carisma sarebbe in qualche modo impossibile, nel senso che esisterebbe un “supermercato di idee religiose” a cui ciascuno potrebbe attingere ciò che corrisponde a un proprio progetto (allora questo di Chiara mi piace, questo non mi piace… e ciascuno prende secondo il proprio progetto…). L’idea della persona chiusa nella sua soggettività – che può fare anche delle scelte radicali – in realtà si preclude all’origine l’idea della formazione. Perché si può formare solo all’interno di una chiamata che viene da un Altro da me. Solo il riconoscimento che io sono originariamente dato in relazione con un Altro permette il desiderio di formare e di essere formati. Ciò significa che la mia soggettività – alla quale pure riconosco tutta la sua capacità di autodeterminazione – è una soggettività data in relazione, fin dall’inizio. Senza questo riconoscimento, la stessa idea di formazione è un’idea vaga. Diventa il supermercato delle idee religiose, che coincide con una delle idee di spiritualità che c’è in giro oggi. Per cui, quando diciamo che la spiritualità è l’ambito fondamentale della formazione, bisognerà chiarirsi un po’ le idee su che cos’è la spiritualità, per evitare di trasformare la spiritualità nel supermercato delle idee religiose a cui ciascuno può attingere come vuole.

Per questo è così fondamentale, all’origine del percorso formativo, il riconoscimento della iniziativa del Mistero della vocazione. Conoscete il bel quadro di Caravaggio che si trova nella chiesa di s. Luigi dei Francesi a Roma: la chiamata di Matteo.

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È un quadro molto noto: la luce vespertina in cui si colloca la scena, tocca il volto di Cristo e illumina il gesto con cui egli va a pescare Matteo-Levi mentre questi si trova seduto al banco delle imposte. Di fronte a Cristo c’è Matteo che solleva il volto dal suo banco e con una mano ripete il gesto di Cristo verso di sé: Cristo che dice: “Tu! Vieni!”, e lui dice: “Io?! …vengo?!” … È molto interessante la contemporaneità dei due gesti che Matteo sta facendo: con una mano ripete il gesto di Cristo e con l’altra mano va avanti a raccogliere i soldi! Matteo non è chiamato mentre si trova a fare un corso vocazionale, ma viene colto da Cristo in un momento non opportuno: e così appare in tutta evidenza che l’iniziativa è di un Altro. È l’irrompere del volto di Cristo che lo chiama da una situazione dalla quale, di per sé, non si potrebbe dedurre la sua vocazione: sta portando via i soldi al suo popolo, è un pubblico peccatore, un gabelliere. E poi ancora, dalla parte opposta della scena, accanto a Gesù c’è Pietro che ripete anche lui lo stesso gesto di Cristo, però con un tono un po’ più basso… dice: “Lui?! come facciamo?”. Tutto questo è per dire l’assoluta indeducibilità della vocazione. Si capisce cosa vuol dire la frase di Cristo: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi”[1]. In sintesi si potrebbe dire che tutta la sfida formativa sta nel rendere la persona consapevole di ciò.

Il percorso formativo deve portare la persona alla coscienza che, sì, si trova in convento, si trova in monastero per vie stranissime – per cose non del tutto configurabili… attraverso storie, fatti, eventi, relazioni, simpatie… attraverso tutto quello che volete -, ma che alla fine si trova in convento, in monastero perché attraverso tutto ciò un Altro l’ha scelto. Finché non si arriva a riconoscere questo, la posizione è assolutamente revocabile perché se sono io che ho scelto, così come oggi ho scelto questo, domani posso scegliere un’altra cosa… Mentre tutto scatta quando mi accorgo che la storia che mi ha portato lì era la storia che un Altro ha costruito, e io riconosco l’iniziativa che il Mistero ha su di me.

(fr. Paolo Martinelli OFMCap, trascrizione di intervento non rivisto dall’autore)

 

[1] Gv 15,16

Per conoscere la nostra famiglia francescana:

Sito dei frati minori del Nord Italia, Provincia S. Antonio

Sito Frati Minori Trento

Sito Associazione missioni francescane Trento

Sito Ordine francescano secolare Trentino Alto Adige

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