Il monastero di Sant’Anna a Borgo Valsugana
di Armando Costa*
*dal libro “Venerabile Giovanna Maria della Croce. Nel III centenario della morte. A cura della parrocchia di S. Marco Rovereto”
Il successo ottenuto con la fondazione del convento di San Carlo a Rovereto, e la difficile situazione religiosa del suo tempo, convinsero la venerabile Giovanna Maria della Croce che uno sviluppo dell’opera in altri luoghi avrebbe giovato non poco alla Chiesa.
Per questo -anche dietro consiglio di persone ragguardevoli- la Venerabile vagheggiò il progetto di fondare monasteri femminili a Bolzano, Venezia, Mori, e Borgo. Assieme a quello di Rovereto, gli istituti -piantati sulle stesse regole, animati uniti dal medesimo spirito, sostenuti da una continua corrispondenza tra loro- dovevano mettere le radici nel suolo italiano e tedesco e, mediante l’influenza caratteristica della donna, afferrare gli elementi nazionalistici, troppo spesso ribelli, e ridurli in unità in Dio e nella Chiesa.
In tutti e quattro i luoghi si era manifestato grande desiderio di ospitare conventi di donne. Era quasi un bisogno che si può spiegare con una certa facilità: anzitutto -causa il protestantesimo, e la controriforma che ne seguì- era più fortemente sentita la necessità di una vita religiosa più intensa, e regolata secondo le norme della moderna disciplina ecclesiastica; inoltre, tale esigenza era maggiormente sentita e favorita dalla pace universale che il mondo godeva in quegli anni.
A Bolzano, Venezia e Mori -dove si riscontravano chiaramente elementi favorevoli alla fondazione del monastero- Giovanna Maria preferì Borgo: non perché qui la costruzione del monastero si presentasse materialmente più agevole, ma per il fatto che -per la sua posizione geografica, per la composizione etnica, e per lo svolgimento della convivenza civica- il capoluogo della Valsugana aveva carte in regola per essere considerato come un punto importante di contatto e di fusione fra il Tirolo e l’Italia.
Altri elementi che determinarono Giovanna a dare la precedenza a Borgo furono la recente ma ormai collaudata e avviata fondazione di un convento di Padri Riformati (1598); e la presenza di uomini autorevoli convinti della validità del suo piano, quali il sindaco dottor Girolamo Bertondello, e il francescano padre Maurizio Divina.
“Lo stesso fuoco che mi indusse a fondare in Rovereto un convento di Clarisse -scrisse, tra l’altro, la Venerabile nella supplica inoltrata al Consiglio della Magnifica Comunità del Borgo- mi tiene tuttavia accesa, e quantunque nascosto sotto la cenere dell’abito del mio Ordine, ogni giorno diventa sempre più ardente, quanto più l’esperienza insegna come con ciò si aumenta l’onor di Dio, e si promuove la salute di molte anime. Esso però può solo allora arrivare al suo fine, quando il suo aiuto viene dal di fuori. Conoscendo io adunque il loro zelo per Dio e per la nostra santa religione, mi rivolgo ad essi con piena fiducia, ed umilmente il prego della loro cooperazione per l’erezione di un convento di Clarisse in codesta borgata. Tale favore, che essi mi accordano, non impone loro alcuna obbligazione, ma porge loro un diritto speciale alla divina remunerazione, lavorando essi per l’onore del nostro Padre nei cieli “.
Oltre a ciò, la Venerabile si obbligava espressamente a dirigere il convento a proprie spese, senza aggravio alcuno per la borgata; e di provvedere al mantenimento delle monache, senza che esse dovessero mai essere costrette a ricorrere alle elemosine degli abitanti del luogo. La supplica -presentata al Consiglio della Magnifica Comunità nella seduta del 17 gennaio 1665- dopo una discussione di cinque ore viene approvata all’unanimità; con l’aggiunta, tuttavia, i due condizioni: che “ l’istituto delle Clarisse non potesse acquistare beni stabili in Borgo senza il consenso della Magnifica Comunità”; e che “ le giovani del luogo si dovessero accettare in convento verso una dote più mite”.
Contemporaneamente il Consiglio espresse la speranza che “ Giovanna stessa, quale prima direttrice, comparirà in Borgo, giacché solo dal suo spirito si può attendere una ferma base, di un interesse generale al medesimo”.
Cominciò, quindi, la trafila burocratica: punteggiata da speranze, appoggi, e anche spiacevoli contrattempi. Ancora nel 1666 venne accordato il permesso Sovrano; mentre il Breve Pontificio di erezione fu sottoscritto in Roma dal Papa Clemente IX in data 12 giugno 1668. Successivamente la Venerabile comperò il palazzo Welsperg in Borgo per 6000 fiorini; e per altri 12.000,dai fratelli Saracini, acquistò parecchie case confinanti, e alcuni appezzamenti di terreno. L’11 ottobre 1668 il vescovo di Feltre Bartolomeo Giera piantò la croce sul luogo dell’erezione; e l’8 del seguente novembre ne benedisse la prima pietra. La fabbrica del monastero venne iniziata sotto la direzione del maestro muratore Bartolomeo Pasqualini; e, alla sua morte, l’opera venne continuata e portata a termine da Pietro Rosi. Nell’ottobre del 1672 la chiesa e il convento erano quasi terminati. Costo dell’opera: 36.000 fiorini; 22.000 per la costruzione, e 14.000 per la compera di beni stabili per il mantenimento dell’istituto.
Il giorno 11 ottobre 1672 ancora Monsignor Giera consacrò solennemente la nuova chiesa di Sant’Anna. Narrano le cronache: “ Tutta la Valsugana era accorsa a questa solennità; la musica e lo sparo dei mortaretti annunziavano dai circostanti colli la gioia degli abitanti”. In questa occasione l’imperatore Leopoldo -che va ricordato come uno dei benefattori principali dell’opera- donò le campane per la torre della chiesa, e fece arrivare al Borgo preziosi arredi di altare.
Al principio del 1673 -volendo tener fede alla promessa- la Venerabile intendeva stabilirsi personalmente al Borgo con alcune religiose per dare inizio alla nuova comunità delle Clarisse. La sua salute, però, era compromessa; e, nel timore che Giovanna avesse a morire al Borgo, i suoi concittadini decisero di impedire la sua partenza, se necessario, anche con la forza. “Frattanto -è scritto sempre nelle cronache- furono poste delle guardie giorno e notte, per affrontare efficacemente qualunque avvenimento contrario ai loro desideri. Dal letto dove giaceva inferma essa sentiva questo tumulto con tranquilla rassegnazione. ‘ Io non desidero altro (disse al medico Pizzini che le aveva recato il decreto del Consiglio della città) che di fare unicamente semplicemente la volontà di Dio. Se egli vuole che io vada, io vado; se egli vuole che resti, resterò. Una donna così cattiva come io sono, non merita questo tumulto’. Poco dopo essa sorrise alquanto, e disse: ‘Così va bene, poiché non mi avrete né l’uno nell’altro: e perché mai vi battagliate cotanto per una cosa mortale?’. Le sue parole si verificarono; essa morì il 26 marzo 1673, e con filiale tenerezza ancora nei suoi ultimi momenti raccomandava il convento di Borgo al suo confessore, il padre Marcellino”.
Nell’autunno di quell’anno la costruzione del monastero era ultimata; e il giorno 10 ottobre partirono da Rovereto quattro monache -madre Chiara Filippi da Rovereto che fu la prima badessa, madre Cunegonda contessa Thun da Castel Brughier, madre Anna Rizzardi da Rovereto, madre Sibilla Borellini da Mattarello -e una novizia- suor Giovanna Maria della Croce, destinate a dar vita alla nuova comunità di Sant’Anna.
“L’anno del Signore 1673, il 10 ottobre -scrive madre Chiara –partimmo dal monastero di San Carlo di Rovereto, tre ore avanti il giorno, dopo esserci nutrite dell’Eucaristico pane, noi seguenti in numero di cinque, la madre Sibilla, la madre Anna, la madre Cunegonda, io suor Chiara, e una novizia suor Giovanna Maria della Croce, per andare istitutrici nel monastero di Sant’Anna in Borgo, e altri nobili signori di quella terra, come anche di Rovereto nostri parenti, e il Padre Custode, che aveva l’ufficio di guidarci al posto.
Il disegno del Molto Reverendo Padre Provinciale era che arrivassimo ancora lo stesso giorno al Borgo, ma per i disagi del viaggio, fu necessario fermarsi a Trento dalle Madri della Santissima Trinità; giunti a Trento, subito il Molto Reverendo Padre Custode si portò in castello dall’Eccellenza illustrissima e Reverendissima Vescovo e Principe di Trento, il quale graziosissimamente ci concesse la licenza di poter entrare nel Chiostro delle suddette Madri della Santissima Trinità. Era questo Principe nipote della Madre Cunegonda, cioè figlio d’una sorella, Margherita Thun di Castel Brughier e perciò non si incontrò alcuna difficoltà: riposiamo da quelle dilettissime in Cristo Madri, le quali ci usarono tutta la carità e finezza, e la mattina seguente proseguimmo il viaggio, che ci costò molto, perché c’erano 40 persone che ci accompagnavano, parte a cavallo e parte a piedi.
Giunti a Pergine, alcuni pigliarono un po’ di rinfresco dai Reverendi Padri Riformati, ma noi non volemmo uscire dalle carrozze dubitando di non avere poi a viaggiare di notte; ma solo a Levico, prendemmo refezione: fummo trattate nobilmente in casa del Molto Illustre Signore Francesco Ceschi di santa Croce del Borgo, il quale anche ci accompagnò nel viaggio.
Finalmente giungemmo al porto la sera, all’ora dell’Ave Maria, ricevute dai nostri Reverendi Padri Riformati nell’ingresso della chiesa di Sant’Anna, con suono di campane e sparo di mortaretti, ed era tanta la calca della gente che, con non poca difficoltà si poté passare avanti il Santissimo, ci baciavano i santi Crocifissi che tenevamo in mano e tanto ci strattonavano che pareva ci volessero levare gli abiti di dosso per devozione.
I Reverendi Padri cantarono il Te Deum Laudamus, e, ricevuta la benedizione, entrammo in monastero. La sera fummo ricevute dai principali Signori di Borgo, i quali per la loro carità e devozione vollero prepararci la cena. Il Molto Reverendo Ministro, sapendo che avevamo bisogno di riposo, comandò che dopo la cena uscissero tutte le persone secolari, le quali, con grande mortificazione obbedirono, e restammo sole noi cinque, che essendo il convento molto grande, e non avendone alcuna pratica essendo centrate di notte, ci trovammo quasi perdute, né sapevamo ritrovare le celle che ci avevano preparate per riposare; pertanto dovremmo girare un gran pezzo; e così pure la mattina seguente per recarci in Coro e agli altri uffici.
Fu necessario quella mattina dar soddisfazione a quelli che ci avevano accompagnate lasciando loro vedere il convento: poi al comando del Molto Reverendo Ministro, uscirono tutti e, dopo il Vespro, per ordine di Monsignor Illustrissimo e Reverendissimo di Feltre Polcenigo, il Molto Illustre e Molto Reverendo Arciprete del Borgo (Giacomo Sardagna), dichiarò la Clausura sotto pena di scomunica a chi la violasse, e così restò fondato questo Monastero di Clarisse o Urbaniste della Seconda Regola della Santa Madre Chiara, sotto il Regolamento dei Frati Minori Riformati a gloria di Dio, beata Vergine e di Sant’Anna”.
In breve il monastero del Borgo si sviluppò tanto rigogliosamente, che rispose più che esaurientemente agli scopi per cui era stato fondato; ed emulò ben presto la gloria stessa del convento primario di Rovereto. Molte furono le giovani che vi entrarono; e vi condussero una vita religiosa esemplare, non avara -in parecchi casi- di chiari indizi di santità.
Ma, tristemente, venne anche l’ora del tramonto. Per un decreto imperiale di Giuseppe II, in data 25 febbraio 1782, nei territori dell’impero vennero soppressi tutti i monasteri delle Clarisse. E anche il nostro subì la stessa sorte.
Il 23 marzo successivo, il capitano distrettuale di Rovereto, Giuseppe Trentinaglia da Telve, convocò nel refettorio del convento le 28 monache di Sant’Anna: e dopo aver fatto l’inventario di tutti i loro beni mobili e immobili, intimò loro di abbandonare il monastero entro sei mesi.
Avvicinandosi il tempo di abbandonare il monastero, il 24 luglio le monache ebbero la visita del Vescovo di Feltre Monsignor Andrea Benedetto Ganassoni: che le consolò; e le confortò con la pastorale benedizione.
Nelle settimane seguenti, parte di esse si ritirarono presso le Agostiniane del convento di Borgo Sacco; e le altre con le Servite di Arco. Il 31 agosto le ultime quindici religiose rimaste dovettero uscire da Sant’Anna, e continuarono quasi tutte la vita comune ancora in Borgo nella casa già Zanetti -e successivamente degli eredi del dottor Achille Armellini- nel magazzino sotto il primo piano, dove ancora qualche decennio fa si poteva osservare un locale che era stato usato come cappella.
Durante i 109 anni di attività, nel monastero di Sant’Anna morirono 76 suore; tra le quali molte in concetto di santità per la loro vita religiosissima.
L’immagine della Fondatrice, dipinta sulla parete di fondo della chiesa di Sant’Anna in atto di invocare la protezione divina sul monastero, ha sempre spronato le Figlie spirituali alle conquiste più ardue di vita religiosa; e rimane anche ai nostri giorni quale testimonianza e presenza di una Benefattrice che la Comunità del Borgo ricorda con affetto e gratitudine imperitura.