“Al tempo del Concilio la città di Trento era stata scelta per facilitare l’incontro, per fare da ponte, per offrire l’abbraccio della riconciliazione e dell’amicizia. Trento non ebbe questa gioia e questa gloria.
Essa dovrà averne, come noi, come tutto il mondo cattolico, sempre il desiderio. Essa dovrà assurgere a simbolo di questo desiderio, oggi ancora, oggi più che mai, vivo, implorante, paziente, pregante.
Essa dovrà, con la fermezza della sua fede cattolica, non costituire un confine, ma aprire una porta; non chiudere un dialogo, ma tenerlo aperto; non rinfacciare errori, ma ricercare virtù; non attendere chi da quattro secoli non è venuto, ma andarlo fraternamente a cercare.
È ciò che il Concilio nuovo, continuando l’antico, con l’aiuto di Dio, vuole fare; ed è ciò che voi, più di ogni altro, nella Chiesa di Dio, dovete capire e tutt’ora, come la Provvidenza suggerirà, assecondare!”Mandato del beato Paolo VI alla Chiesa di Trento (8 marzo 1964)
La storia umana è fatta dell’intreccio provvidenziale di persone, vicende, situazioni, dati, anche quelli apparentemente più banali. Raccontare la storia a partire da questo intreccio, riconosciuto come portatore di una provvidenzialità, permette quel grande miracolo del comunicare e dell’educare che costituisce la trasmissione del senso della vita. Quando poi quel senso è il Senso ultimo, ossia il mistero dell’Incarnazione redentrice del Signore, ogni piccolo e limitato frammento della storia assume un valore immenso.
Il Trentino è una terra di confine. I confini dividono gli spazi e gli stati, ma costituiscono anche le soglie da varcare per passare da un luogo a un altro: sono anche delle porte. Il Trentino, con i suoi passi montani, anche morfologicamente, ha la vocazione a essere porta: luogo di passaggio, crocevia di popoli, di lingue, di culture. Ha una vocazione a favorire l’incontro a essere luogo di incontro. L’incontro non è mai immediato e facile: chiede il coraggio di riconoscere l’alterità, chiede il coraggio del dialogo, chiede capacità di condividere ciò che si è ricevuto e si possiede. Da ultimo: la fiducia nell’uomo e la fede in Dio.
Anche l’avvento della cristianità in Trentino conferma questa vocazione: la terra trentina è debitrice alla Chiesa di Roma che le ha dato il suo grande evangelizzatore, il vescovo Vigilio (355-405), e alla Chiesa di Milano, che le ha inviato i tre cappadoci Sisinio, Martirio e Alessandro, apostoli della Val di Non, martirizzati nel 397… estendendo così il suo debito fino a Bisanzio. Queste quattro colossali figure di santi hanno testimoniato Cristo fino al dono della vita e del sangue per la fede di questa terra.
Non è stato un avvio glorioso quello della fede in Trentino, ma si sa che il rifiuto della parola del vangelo non è un ostacolo all’espandersi della vita cristiana. La mitezza dei martiri, il loro dono della vita per amore, è sempre una sfida alla cultura della morte: rilancia la scommessa della Vita. E trasforma una storia di morte in una storia di santità. La fede che nasce da un dono così prezioso, il dono della vita, lascia un segno indelebile e insperato, crea una cultura, un modo di stare al mondo: la coscienza che proprio perché si è ricevuto si può dare. Diventa il senso della vita da trasmettere alle nuove generazioni, lungo i secoli.
Il mandato di Paolo VI alla Chiesa di Trento, a distanza di 400 anni da quando la città fu sede del Concilio convocato per rispondere alla riforma protestante, esplicita la strada della mitezza e dell’incontro quali vie evangeliche comprensibili all’uomo di ogni tempo.
Nel XIII secolo, negli anni in cui l’Europa si volge verso i Luoghi santi nel tentativo di riconquistarli con le crociate, è ancora il segno della mitezza a scrivere le pagine più vere della storia. Nel 1218 san Francesco si reca in Terra Santa e incontra personalmente il Sultano: è un ambasciata di pace che non riesce a fermare la logica della violenza, ma che segna ugualmente la coscienza umana con la certezza che è possibile incontrarsi. In Terra Santa san Francesco ha probabilmente ha modo di conoscere
“il vescovo di Trento, Federico di Vanga. Non è senza fondamento l’ipotesi che i due personaggi si siano incontrati, tanto più che nella città di Accon, dove il Vanga trovò la morte, era allora vescovo Giacomo da Vitry, che successivamente fu collaboratore a Roma di papa Gregorio IX, grande protettore e amico di Francesco e dei francescani. Lo stesso papa, quando era Visitatore d’Italia aveva potuto rendersi conto delle grandi necessità di riforma esistenti nella comunità cristiana; non è quindi da meravigliarsi che, dopo la venuta dei Frati Minori a Trento vivente ancora Francesco, Gregorio IX si sia fatto personalmente sollecito perché a Trento – già allora importante via di comunicazione con il Nord dell’Europa – oltre ai Frati, approdassero anche le sorelle di Chiara.”
(Dal saluto pronunciato dall’Arcivescovo mons. Alessandro Maria Gottardi nella chiesa di S. Chiara a Trento, in occasione dell’accoglienza in Diocesi delle Clarisse, il 25 agosto 1984)
La presenza dell’Ordine delle Sorelle Povere in Trentino, nei suoi esordi, è quindi in stretto legame con l’espansione missionaria dell’Ordine dei Frati Minori, ma si mescola anche alla contemporanea esperienza penitenziale dell’Ordine di San Damiano. Da un monastero di Verona appartenente al movimento dell’Ordine di San Damiano provengono infatti le prime monache giunte a Trento per aprirvi un monastero, nel 1227. Il monastero dedicato a S. Michele, dopo il trasferimento della comunità claustrale entro le mura della città, prenderà il nome di S. Chiara. Dopo la soppressione degli ordini religiosi avvenuta nel primo decennio del XIX secolo, il nome di “S. Chiara” passerà all’Ospedale che verrà insediato nella struttura conventuale, e quindi alla sede universitaria cittadina. Nella piccola chiesa del monastero, riaperta al culto nei decenni scorsi, si continua l’adorazione eucaristica quotidiana, esprimendo così un forte legame spirituale con Chiara d’Assisi e il suo amore per l’Eucarestia.
Tre secoli dopo, nel 1500, a Trento sorgerà un altro monastero, dedicato alla Santissima Trinità (ora liceo Prati). Entrambe le comunità hanno beneficiato della cura spirituale dei Frati Minori riformati che le ha aiutate a mantenere vivo il carisma francescano, nonostante le mitigazioni alla povertà previste dalla Regola di Urbano IV, professata da entrambe.
Per definire sommariamente il proprium dell’esperienza dell’Ordine delle Sorelle Povere, fondato da santa Chiara, distinguendolo da quella dell’Ordine di San Damiano, potremmo dire che, situandosi pienamente nel solco francescano, Chiara d’Assisi con le sue sorelle ha vissuto radicalmente l’anelito a una forma di vita evangelica nell’imitazione della vita povera di Gesù. La Regola da lei scritta veicola questo carisma incentrato sull’imitazione del Figlio di Dio, fino alle conseguenze estreme di una fiducia totale nella Provvidenza del Padre celeste, nella rinuncia a ogni rendita sicura. L’accento dell’ Ordine di San Damiano, che raccoglieva variegate esperienze di vita penitenziale evangelica italiana, era piuttosto posto sulla radicalizzazione delle forme penitenziale e reclusa, con mitigazioni relative alla povertà al fine di garantire la sussistenza delle monache. Proprio a motivo di ciò, la forma di vita povera abbracciata da Chiara incontrava presso la Curia Romana un atteggiamento di ammirata prudenza che ne limitava l’adozione da parte di analoghe esperienze, mentre era piuttosto favorita la “più sicura” forma di vita dell’Ordine di San Damiano, alla cui redazione lo stesso Papa Gregorio IX aveva collaborato, quando ancora era il cardinale Ugolino dei Conti Segni. Per uniformare questo vasto movimento femminile, dieci anni dopo la morte di santa Chiara, nel 1263, papa Urbano IV impose la sua Regola a tutti i monasteri, tanto a quelli legati all’Ordine delle Sorelle Povere quanto a quelli dell’Ordine di San Damiano. La Regola di Urbano ricalca, anche per quel che concerne le mitigazioni alla povertà, il testo di Ugolino, pur ispirandosi ad alcuni tratti della Regola di Chiara. Per volere del Papa anche il nome degli ordini fu uniformato in quello di “Ordine di Santa Chiara”: con questa decisione egli additava contemporaneamente la figura evangelica di Chiara quale sicuro modello di santità.
Occorrerà attendere il XVII secolo per trovare in Trentino, a Rovereto, un’esperienza di vita clariana desiderosa di far rivivere il carisma originario di Chiara. Ciò avverrà grazie a Bernardina Floriani, la venerabile Giovanna Maria della Croce (Rovereto 1603-1673), singolarissima figura di mistica che, in pieno post-concilio tridentino, fondò presso la chiesa di San Carlo a Rovereto un Monastero per il quale redasse ella stessa delle Costituzioni, rifacendosi alla forma radicale della povertà abbracciata da santa Chiara.
La grandezza di Giovanna Maria, mistica della misericordia divina, è evidente anche in relazione alle istanze del suo tempo. Erede del Concilio tridentino che si proponeva l’obiettivo di una rinnovata risposta cattolica alle deviazioni protestanti che avevano invaso l’Europa e, in particolare, le regioni del Nord Italia, il secolo di Giovanna Maria voleva riconquistare i cuori dei credenti alla fiducia in Dio, il cui volto è Amore. L’umanissima e tenera sensibilità ecclesiale di Giovanna Maria aveva intravisto nelle valli trentine i luoghi provvidenziali per l’incontro con i fratelli in umanità, presso i quali riportare, con la presenza clariana e francescana, la testimonianza e l’annuncio del volto amabile di Dio e dell’alleanza sponsale della Croce. Per questo raccomanderà l’apertura di conventi francescani nelle diverse valli e auspicherà, da parte del Monastero di S. Carlo, la fondazione di monasteri in terra tedesca e italiana. Realizzerà solo la fondazione del Monastero S. Anna di Borgo Valsugana che vide la luce nel 1673, anno della sua morte. La scelta della fondazione fu motivata dalla presenza dei Frati minori nella piccola cittadina della Valsugana: per Giovanna Maria, come già per santa Chiara, il legame con i frati è fondamentale.
Fra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo le soppressioni asburgiche posero drammaticamente fine alla presenza clariana in Trentino. Ma nel 1973, proprio in occasione delle celebrazioni per il 300° anniversario della morte della venerabile Giovanna Maria della Croce, si cominciò a parlare della riapertura di un monastero di Clarisse in Diocesi. Il progetto si realizzerà nel 1984 con la fondazione del nostro Monastero S. Damiano in Borgo Valsugana.