Nell’arco degli anni che vanno dal 1205 al 1207 san Francesco (1181-1226), mosso dallo Spirito Santo, iniziò un itinerario di conversione che, al termine della sua ricerca, lo portò ad abbracciare la vita religiosa nella forma evangelico-penitenziale, in povertà e fraternità e in totale e fiduciosa obbedienza alla Chiesa Romana, in risposta al mandato di “riparare la Chiesa” che misticamente gli aveva affidato il Crocifisso.
In Assisi, dove tutto ebbe inizio, ben presto si unirono a lui dei compagni. In breve tempo entrarono nell’Ordine uomini di tutta Europa, appartenenti a ogni ceto sociale. A servizio della Chiesa misero la loro opera di annuncio del Vangelo e della conversione.
Nel 1211, anche la diciottenne santa Chiara (1193-1253) seguì i suoi esempi di vita cristiana, non nella forma dell’itineranza e della predicazione praticata da Francesco e dai suoi frati, ma nella reclusione del piccolo Monastero edificato presso la chiesa di San Damiano ad Assisi. Qui Chiara, in radicale povertà e carità fraterna, visse una vita di contemplazione, interamente centrata sull’esperienza della persona di Gesù e della Trinità. Ancora vivente Chiara, dalla comunità di Assisi, partirono piccoli drappelli di sorelle per impiantare la forma di vita damianita in cenobi femminili preesistenti o sorti in tutta Europa attraverso la predicazione dei frati.
La Regola di santa Chiara trasmette nei secoli, alle generazioni di Sorelle povere, la forma di vita secondo il Vangelo che Dio stesso ha suscitato per suo mezzo nella Chiesa e per la Chiesa. Tanto l’Ordine dei Frati minori di san Francesco che l’Ordine delle Sorelle Povere di santa Chiara appartengono agli Ordini mendicanti. Essi si distinguono dagli Ordini monastici, nei quali monaci e monache osservano la stessa Regola, perché composti da un prim’Ordine maschile, dedito principalmente alla predicazione, da un second’Ordine femminile, dedito alla contemplazione e da un terz’Ordine di laici che, nell’ordinarietà della vita familiare e lavorativa, vivono lo stesso afflato evangelico-penitenziale.
Chiara, sull’esempio di Francesco, abbracciò la povertà radicalmente, nel desiderio amante di imitare il Figlio di Dio con una vita senza possedimenti e sicurezze. Chiese e ottenne dal Papa, non senza sofferta tenacia nel domandare, il Privilegio della povertà e, infine, l’approvazione della sua Regola a tutela di questa scelta. Proprio la sequela del Figlio di Dio nella sua povertà, fatta di espropriazione/restituzione di sé nel dono della sua vita, ha plasmato anche il modo di presenza e vicinanza semplice dei Frati minori e delle Sorelle povere ai loro contemporanei. Edificando i conventi e i monasteri in prossimità delle città, l’irradiazione del carisma evangelico poteva avvenire dentro il tessuto urbano, in stretta vicinanza con la gente. Vivere la vita contemplativa in prossimità della città anche a causa della vita radicalmente povera, ha chiesto a Chiara di elaborare le modalità adatte a fare del monastero un luogo di silenzio e di ritiratezza. La radicalità di questa reclusione urbana povera pone le Sorelle povere in un legame di stretta dipendenza dalla città, che diviene mutuo attraverso lo scambio di beni spirituali e materiali.
La Regola, che santa Chiara scrisse per se stessa e le sue sorelle, compone con grande audacia gli elementi propri del carisma e quelli delle varie esperienze carismatiche a lei contemporanee, rivelando la sua grande capacità di ascolto e di discernimento. Vi convergono, infatti, sapientemente scelti e plasmati, elementi della Regola di Benedetto (anno 530 e seguenti), di testi papali (dal 1228 al 1247) e delle Regole di san Francesco (1221-1223). La Regola di santa Chiara traccia la nostra esistenza quotidiana di Sorelle povere come conversione vissuta nel vasto grembo dell’obbedienza al Vangelo, alla Chiesa e del legame con i Frati minori. Questo grembo, come uno scrigno, racchiude in sé la perla evangelica del “sine proprio” (“senza nulla di proprio”) e della “santa unità” (l’unità fraterna nell’amore di Cristo), che costituiscono la via di conformazione a Gesù in tutta l’esistenza: nella preghiera liturgica, nell’obbedienza all’abbadessa, nella vita ritirata della clausura, nel lavoro manuale, nell’esperienza quotidiana della sollecitudine vicendevole e della misericordia.