13 giugno – 25° di don Luca Raimondi

Pubblicato giorno 10 Giugno 2017 - Vocazioni

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il giorno 8 giugno abbiamo celebrato la solenne messa di ringraziamento per il 25° di sacerdozio di don Luca Raimondi, prete della diocesi di Milano, da oltre vent’anni amico della comunità.

A commento del dono della vocazione e dei 25 anni di vita sacerdotale di don Luca, le parole più appropriate ci paiono quelle che p. Mauro Giuseppe Lepori OCist ha scritto in occasione della festa di Pentecoste 2017:

“Essere chiamati è sempre un’esperienza di bellezza… La bellezza richiama, attira. La nostra vocazione è bella perché in essa siamo attratti dalla bellezza di un Dio che ci conosce personalmente al punto di chiamarci per nome e di avere su ognuno di noi un progetto esclusivo, che nessun altro potrà realizzare al nostro posto; soprattutto il progetto per eccellenza di Dio che è il desiderio di essere amato da noi come Lui ci ama.
“Che bella la nostra vocazione! Che bello essere chiamati! Anzi: invitati da Dio ad essere suoi, a vivere con Lui e per Lui, in una vita che non è più quella che avevamo calcolato noi, ma una vita nuova, liberata dai legami della nostra meschinità!

Quando Gesù ci chiama, quando ci giunge la sua voce che pronuncia il nostro nome, ci accorgiamo che ci ha trovati, che eravamo perduti e Lui ci ha ritrovati per dare un senso e una dimora alla nostra vita.

Già il battesimo è questa chiamata dolcissima in cui la voce di Dio pronuncia il nostro nome e ci invita a vivere con Lui e per Lui nel suo Corpo che è la Chiesa. La vita di ogni battezzato è una vita chiamata da Dio, e ogni vocazione particolare non fa che farci sentire in modo più definito la voce che dà senso alla nostra esistenza.

Ma la vocazione è e rimane sempre un invito. Un invito non è un ordine di marcia per andare al servizio militare. L’invito è una proposta fatta alla nostra libertà. L’invito è un mistero sospeso fra due libertà, perché colui che invita si espone, disarmato, alla libertà dell’altro di accettare o rifiutare. Colui che invita si mette in una situazione di debolezza, di vulnerabilità, nei confronti dell’altro. Dio ha scelto questa forma per chiamarci a corrispondere al suo progetto di amore su di noi e su tutti. Per questo san Benedetto usa il termine “dolce” per definire la voce che ci chiama. È sempre il Signore “mite ed umile di cuore” (Mt 11,29) che ci chiama a seguirlo.

Quest’umile amore di Cristo che ci chiama con tenerezza è la bellezza della nostra vocazione. Gesù stesso è la bellezza della nostra vocazione, di ogni vocazione cristiana. Viviamo con fedeltà la nostra vocazione se la viviamo sotto il fascino costante della presenza e della voce del Signore. La vera fedeltà è il riflesso della presenza di Cristo, l’eco della sua voce, l’irradiamento del suo amore sulle nostre persone, sulle comunità, e sul prossimo che incontriamo.

Una vocazione è bella quando non perde lo stupore che grida a Cristo: “Tu sei il più bello tra i figli dell’uomo, sulle tue labbra è diffusa la grazia” (Sal 44,3). Lo splendore del suo Volto, la dolce grazia della sua Parola dovrebbero essere la sorgente sempre viva e vivificante della nostra fedeltà. E il cammino della nostra vita, vissuta seguendo la sua chiamata, diventa allora il poema che canta la bellezza di Cristo: “Effonde il mio cuore liete parole, io canto al re il mio poema. La mia lingua è stilo di scriba veloce” (Sal 44,2) .

La bellezza della nostra vocazione è il riflesso in noi e attraverso di noi della presenza di Cristo che ci chiama per nome. Allora il poema che componiamo per Lui può essere anche di una sola parola, di un solo sguardo, o un sorriso. La bellezza di un solo atto d’amore. Come Maria di Magdala che grida “Rabbunì!” (Gv 20,16), come Tommaso che confessa: “Mio Signore e mio Dio!” (Gv 20,28), o Giovanni che esclama: “È il Signore!” (Gv 21,7).”

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