
Audite, poverelle dal Signore vocate….
Così inizia l’esortazione che san Francesco compone a consolazione delle povere dame di san Damiano sul finire della sua vita. Nel saperle contristate per la sua infermità le invita anzitutto ad ascoltare, non tanto la sua parola, ma la Parola del Signore, quella che le ha chiamate, ciascuna in modo singolare e personale: audite la Parola, poverelle dal Signore vocate (FF 263/1), ridate nuovamente al vostro cuore ciò che lo scalda e lo muove. La Parola ci sorprende con la sua vitalità e ci riempie di meraviglia per quanto ha compiuto e compie ancora oggi per noi: ci ha dato di iniziare a seguire Cristo nella via della penitenza, ci ha dato dei fratelli e delle sorelle, ha fatto rifiorire in noi la fede fino a cambiare in dolcezza d’animo e di corpo quanto ci sembrava amaro. In questo movimento di accoglienza dell’azione di Dio si svela per ciascuno la vocazione, cioè ri-ascoltare il Signore, ritrovando l’atto di fede, l’atto fiducioso di consegna a Dio che è il dono dei doni del battesimo, ricevuto senza nostro merito.
Francesco fin dalle prime parole richiama Chiara e le sue sorelle al cuore della loro vocazione: seguire la vita e la povertà dell’altissimo Signore nostro Gesù Cristo e della sua santissima madre e perseverare in essa sino alla fine (FF 140). Le invita con una sfumatura di affetto usando il diminutivo poverelle, parola che vibra dell’amore al mistero della povertà di Cristo e di Maria sua madre, mistero di virtù regale perché rifulse con tanto splendore nel Re e nella Regina celesti (FF 788). È un mistero in cui Chiara ci invita ad immergerci ponendo la mente nello specchio dell’eternità, l’anima nello splendore della gloria, il cuore nella figura della divina sostanza e lasciarci trasformare interamente, attraverso la contemplazione, per sentire anche noi ciò che sentono gli amici gustando la dolcezza nascosta che Dio stesso fin dall’inizio ha riservato ai suoi amanti (cf. FF 2889). In queste parole di Chiara mi sembra di udire un eco del testamento di madre Teresa di Calcutta: «avete mai visto con gli occhi dell’anima l’amore con cui Egli vi guarda? avete mai udito le sue parole d’amore? Chiediamo la grazia di ascoltare. Gesù ha un desiderio ardente di concedercela. Finché non lo ascolteremo nel silenzio del nostro cuore, non potremo sentirgli dire le parole che ci rivolge nel cuore dei poveri», nel cuore di chi ci sta accanto. Non abbandoniamo mai questo contatto vivificante e quotidiano con Gesù come persona viva e reale. È l’unica connessione da non spegnere mai, altrimenti la fede diventerà arido sforzo e si spegnerà. E con la fede si spegne la preghiera, la vita e lo stupore alla vita. È un’urgenza relazionale, poiché noi siamo relazione e ogni relazione si invera e palpita di vita a partire dal mistero di Dio, nascosto nel nostro cuore come in quello di ogni persona.
Cristo ci attende nelle profondità del nostro cuore per dare un senso alla nostra esistenza: ascoltiamolo, è il Figlio, l’amato. Lui è più semplice di noi. Ci sembra che ci ripeta sempre le stesse cose, eppure la nostra fede e tutta la nostra felicità consistono in alcune parole del Vangelo che basta comprendere e praticare: cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia e il resto vi sarà dato in sovrappiù. Ci riempiamo di tante inquietudini, eppure Lui abita così vicino a noi: è sulla nostra bocca e nel nostro cuore; … e noi lo cerchiamo sempre troppo lontano. Sempre siamo da Lui interpellati, chiamati dalla stessa Parola e dalla dinamica vitale che in essa risiede (R.OFS, 7), per aiutarci a vivere il Vangelo in comunione fraterna, nella gioiosa sequela di Cristo, la sola che realizza la nostra vocazione: guardare quello che c’è senza chiudere lo sguardo su quello che manca è postura che infonde quella luce della speranza che non si spegne (cf. papa Francesco, ChV 48). Cosa può produrre in noi l’ascolto della Parola rinnovato dalla grazia? Una luce, la verità di ciascuno di noi che germoglia nuovamente, poiché la relazione col Signore diventa più determinante per noi di ciò che siamo e di ciò che sappiamo. L’uomo nuovo rinasce in noi quando il sentimento della nostra nullità e della nostra ignoranza totali ci permette di percepire ancor più fortemente che è la sua Parola a farci vivere, e che noi siamo veramente e sappiamo tutto se siamo con Lui, come il bambino con sua madre: «Io sono sempre con te».
O Signore, nostro Dio,
quanto sono dolci al mio palato le tue promesse,
più del miele per la mia bocca.
I tuoi precetti mi danno intelligenza,
perciò odio ogni falso sentiero.
Lampada per i miei passi è la tua parola,
luce sul mio cammino
Ho giurato, e lo confermo,
di osservare i tuoi giusti giudizi.
Sono tanto umiliato, Signore:
dammi vita secondo la tua parola. (dal salmo 119)