21 maggio 1996 – 21 maggio 2018: martirio dei trappisti di Tibhirine – Algeria

Pubblicato giorno 21 Maggio 2018 - ARTICOLI DEL BLOG, Eventi

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Il 27 gennaio 2018 papa Francesco ha decretato il riconoscimento del martirio di “mons. Pierre Claverie e dei suoi diciotto compagni e compagne di martirio” che hanno dato la loro vita per Cristo in Algeria, fra i quali i sette monaci trappisti del Monastero di Tibhirine.

I Vescovi algerini hanno accompagnato la notizia con questa lettera (traduzione di don Daniele Gianotti):

La nostra Chiesa è nella gioia. Papa Francesco ha autorizzato la firma del decreto di beatificazione di “Mons. Pierre Claverie e dei suoi diciotto compagni e compagne”. Ci è data la grazia di poter fare memoria dei nostri diciannove fratelli e sorelle in qualità di martiri, cioè (secondo il significato della parola stessa) di testimoni dell’amore più grande, quello di dare la vita per i propri amici. Di fronte al pericolo della morte onnipresente nel paese, hanno fatto la scelta, a rischio della loro vita, di vivere fino all’ultimo i legami di fraternità e di amicizia che avevano intessuto con i loro fratelli e sorelle algerini per amore.
I legami di fraternità e di amicizia, in questo modo, sono stati più forti della paura della morte.

I nostri fratelli e sorelle non accetterebbero di essere separati da tutti quelli in mezzo ai quali hanno dato la loro vita. Sono testimoni di una fraternità senza frontiere, di un amore che non fa differenze.
Per questo, la loro morte mette in luce il martirio di tutti coloro che, algerini, musulmani, cercatori di senso, quali costruttori di pace, perseguitati per la giustizia, uomini e donne di cuore retto, sono stati fedeli fino alla morte durante il decennio nero che ha insanguinato l’Algeria.

Il nostro pensiero raccoglie in un solo omaggio anche tutti i nostri fratelli e sorelle algerini che, a migliaia, non hanno avuto paura di rischiare la loro vita nella fedeltà alla loro fede in Dio, nel loro paese, e nella fedeltà alla loro coscienza. Facciamo memoria, tra di essi, dei novantanove imam che hanno perso la vita per essersi rifiutati di giustificare la violenza. E pensiamo agli intellettuali, scrittori, giornalisti, uomini della scienza o dell’arte, membri delle forze dell’ordine, ma anche alle migliaia di padri e madri di famiglia, umili anonimi, che si sono rifiutati di obbedire agli ordini dei gruppi armati.
Moltissimi bambini pure hanno perduto la vita, travolti dalla stessa violenza.

Possiamo soffermarsi sulla vita di ciascuno dei nostri diciannove fratelli e sorelle. Ciascuno di loro è morto perché aveva scelto, per grazia, di restare fedele a quelli che la vita di quartiere, i servizi condivisi, avevano reso loro prossimi. La loro morte ha rivelato che la loro vita era al servizio di tutti: dei poveri, delle donne in difficoltà, dei disabili, dei giovani, tutti musulmani.
Un’ideologia di morte, stravolgimento dell’islam, non sopportava questi altri, differenti per nazionalità e per fede. Quelli che più hanno sofferto, al momento della loro morte tragica, sono stati i loro amici e vicini musulmani, che avevano vergogna che si utilizzasse il nome dell’islam per commettere atti del genere.

Oggi, tuttavia, non siamo rivolti verso il passato. Queste beatificazioni sono una luce per il nostro presente e per il futuro. Esse dicono che l’odio non è la risposta giusta all’odio, che non c’è una spirale ineluttabile della violenza.
Esse vogliono essere un passo verso il perdono e verso la pace per tutti gli esseri umani, a partire dall’Algeria ma al di là delle frontiere dell’Algeria. Queste beatificazioni sono una parola profetica per il nostro mondo, per tutti quelli che credono e si adoperano per un vivere condiviso. E sono tanti, qui, nel nostro paese e dappertutto nel mondo, di ogni nazionalità di ogni religione. È il senso profondo di questa decisione di Papa Francesco. Più che mai, la nostra casa comune, che è il nostro pianeta, ha bisogno della buona e bella umanità di ciascuno.

I nostri fratelli e sorelle sono, infine, dei modelli sul cammino della santità ordinaria. Essi testimoniano che una vita semplice, ma tutta donata a Dio e agli altri, può condurre al culmine della vocazione umana. I nostri fratelli e le nostre sorelle non sono degli eroi. Non sono morti per un’idea o per una causa. Erano semplicemente membri di una piccola chiesa cattolica in Algeria che, benché costituita prevalentemente da stranieri, e spesso considerata essa stessa come straniera, ha tirato le conseguenze naturali della sua scelta di essere pienamente parte di questo paese. Era chiaro per ciascuno dei suoi membri che quando si ama qualcuno non lo si abbandona nel momento della prova. È il miracolo quotidiano dell’amicizia e della fraternità. Molti di noi li hanno conosciuti e sono vissuti con loro. Oggi la loro vita appartiene a tutti. Essi ormai ci accompagnano come pellegrini di amicizia e di fraternità universale.

Algeri, 20 gennaio 2018

+ Paul Desfarges, arcivescovo di Algeri
+ Jean-Paul Vesco, vescovo d’Orano
+ John MacWilliam, vescovo di Laghouat
+ Jean-Marie Jehl, amministratore di Costantina

All’intercessione dei nostri 19 amici affidiamo la sorte dei paesi travagliati dalla guerra e la causa della pacifica convivenza fra i credenti delle diverse confessioni. E, insieme alla loro intercessione, chiediamo quella di Maria Madre della Chiesa che oggi, per la prima volta, abbiamo la gioia di celebrare con questo titolo!

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