Conosco i miei polli! Gli effetti collaterali del pregiudizio – Omelia di p. Gaetano Piccolo SJ per la XIV domenica anno B

Pubblicato giorno 6 Luglio 2018 - ARTICOLI DEL BLOG, Omelie di p. Gaetano Piccolo SJ

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dal sito Rigantur mentes

Diventiamo sordi alla voce del testo,

quando non siamo consapevoli dei nostri pregiudizi.

Gadamer

 

Quando mia mamma avverte che sto cercando di nasconderle qualcosa o che sto cercando di prenderla bonariamente in giro, mi invita sempre coloritamente a ricordarmi che è lei che mi ha fatto! Mi conosce così bene che percepisce il mio stato d’animo dal tono della voce.

Purtroppo però chi ci conosce tende a volte a non lasciarsi più sorprendere da noi.

Le relazioni infatti possono diventare scontate.

Può accadere nella vita coniugale, quando ciascuno considera l’altro come prevedibile. Ogni gesto innovativo viene visto con sospetto, un mazzo di fiori improvviso viene riletto al più come il tentativo di farsi perdonare qualche misfatto.

Ma può accadere anche con i figli. Succede infatti che li etichettiamo e pretendiamo che per tutta la vita rispondano a quell’idea che ci siamo fatti di loro.

Avviene così anche nella vita religiosa: il padre maestro che ha conosciuto i suoi confratelli da novizi rischia molto spesso di continuare a vedere quei confratelli, diventati ormai adulti, come eterni novizi che non crescono mai.

Chi ci ha conosciuti da piccoli, con i nostri capricci e i nostri goffi tentativi di crescere, fatica ad apprezzare quello che siamo stati capaci di costruire.

Lo sa bene chi si allontana dal proprio paese, dal proprio contesto, e poi vi torna dopo molto tempo. Accade spesso di non sentirsi più a casa, di non sentirsi riconosciuti nella novità della propria vita, come se non ci fosse data la possibilità di cambiare.

Mettere etichette è un principio di economia: ci permettere di non spendere energie per riformulare la nostra idea sugli altri e su Dio. Viaggiamo in un certo senso con il pilota automatico sulla strada delle relazioni.

Mi sembra che Gesù, tornando in Galilea, viva un’esperienza simile: è visto come il figlio del falegname, i suoi legami sono conosciuti, la sua parentela è nota, come può dunque avere la pretesa di insegnare qualcosa di nuovo?

Potremmo pensare anche all’idea che noi ci costruiamo di Dio. Un’idea familiare a cui non vogliamo rinunciare. Dio diventa un Dio scontato. Ed è proprio per questo che non gli diamo più la possibilità di sorprenderci. Paradossalmente più siamo esperti di Dio più facciamo fatica a liberare Dio dai nostri schemi.

Ci aspettiamo che Dio sia dove lo abbiamo sempre trovato, ma a volte capita che ci accorgiamo che stiamo contemplando un contenitore vuoto. Nel frattempo Dio si sta rivelando altrove.

E così, come è capitato ai concittadini di Gesù, impediamo a Dio di operare nella nostra vita.

Per Gesù, questi primi versetti del Cap. 6 di Marco, inaugurano quella che gli studiosi chiamano la crisi galilaica: Gesù non si sente capito, percepisce che qualcosa non ha funzionato nella sua comunicazione, c’è stata un’interpretazione distorta o parziale del suo messaggio. Questo passo rappresenta perciò anche per noi un’opportunità per interrogarci, ovvero per chiederci: cos’è passato del messaggio che volevamo trasmettere? Vale per noi pastori, predicatori, educatori, ma vale in generale nella vita. Vale per chi è chiamato a chiedersi cosa è passato del proprio programma pastorale, ma vale anche per ogni uomo che può chiedersi: cosa è passato del messaggio che avrei voluto dare con la mia vita?

Gesù ha il coraggio di prendere atto del suo fallimento apostolico e di chiedere un riscontro, accetta il tempo della verifica. Noi, in genere, andiamo avanti tralasciando di metterci davanti alle nostre responsabilità. La storia va avanti e copriamo un fallimento con una nuova iniziativa.

Marco ci aiuta a riconoscere che il fallimento può intervenire nella vita. Il modo per affrontarlo però non è il silenzio, ma la ricerca dei motivi che lo hanno generato. Può capitare di non sentirci riconosciuti e capiti, ma quell’incomprensione non può rappresentare la fine del viaggio. Io non sono la tua incomprensione!

 

Leggersi dentro

  1. Come reagisci quando non ti senti compreso?
  2. Ti stai lasciando sorprendere da Dio o lo cerchi nelle solite cose?
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