E quando mi perderò, so che tu ci sarai! – meditazione di p. Gaetano Piccolo SJ

Pubblicato giorno 25 Dicembre 2018 - ARTICOLI DEL BLOG, Omelie di p. Gaetano Piccolo SJ

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Mentre si sentivano i colpi d’ascia dello spaccalegna nel cuore della notte,

che tuttavia non svegliavano il pastorello dormiente,

un batuffolo bianco spuntò tra i cespugli di mirto.

E all’improvviso cominciò a belare:

«Che delusione! E questo sarebbe il grande spettacolo che tutti stanno correndo a guardare?

Avevano parlato di un grande re, di un condottiero, un generale degli eserciti,

il pastore dei pastori, che avrebbe dovuto ricondurre il gregge nel suo ovile,

che non avrebbe dimenticato nessuna di noi pecore,

che avrebbe guidato teneramente le pecore madri,

che avrebbe condotto gli agnellini sul petto,

un pastore mite che non ci avrebbe più spezzato le gambe.

Uno che sarebbe venuto a cercarci quando ci saremmo perse.

Un pastore che non ci avrebbe abbandonato alla vista del lupo, come invece fanno tutti gli altri che preferiscono sempre salvarsi la vita senza curarsi di noi.

E, invece, è soltanto un bambino, non parla neanche, non può neanche fischiare per chiamarci a raccolta. Ha bisogno di tutto.

Lui stesso sembra un agnellino indifeso, come quelli che portano al macello e si lasciano condurre muti senza ribellarsi.

Se fosse questo il pastore che da sempre le nostre pecore madri ci hanno detto di aspettare, l’avremmo saputo subito, noi che così spesso siamo state le protagoniste della storia sacra: come quando Natan per aiutare Davide a rendersi conto di quello che stava combinando, gli raccontò di quell’uomo che pur avendo cento pecore, andò a prendere quell’unica pecora di quel povero pastorello.

E il grande Davide, modestamente, stava pascolando proprio noi quando fu scelto per essere Re d’Israele al posto di quello zoticone di Saul. Forse per questo, tante volte, nei suoi salmi, parla così bene di noi.

Del resto, tutto era cominciato proprio quando quell’imbranato di Mosè stava pascolando le nostre antenate del gregge del suocero: a volte, anche pascolando il gregge, si possono fare incontri che ti cambiano la vita».

«Certo, io sono la Vita», le disse all’improvviso il bambino.

«Come fa questo bambino appena nato a capirmi e a farsi capire da me?», pensò stupita la pecora.

«Perché l’uomo guarda l’apparenza, ma io guardo il cuore», le rispose il bambino.

«È vero – aggiunse – mio Padre ha sempre avuto tanto a cuore voi piccole pecore, vi ha sempre guardato con grande tenerezza.

Mi ha raccomandato di essere un pastore secondo il suo cuore e di non perdere nessuna delle sue pecorelle, di condurvi presto tutte in uno stesso ovile.

Anche se per ora non riesco a capire bene, mi ha chiesto anche di essere come un agnello mansueto, come quelli che sono condotti al macello o quelli che sono portati al tempio per essere offerti in sacrificio.

Mi ha detto che dovrò prendermi cura del mio popolo come fa un pastore con il suo gregge, di aspettare le pecore più affaticate, di portare sulle spalle quelle malate, di andare in cerca di quelle che si perdono, di farle pascolare in luoghi pieni di erba e di condurle ad acque tranquille».

La pecorella rimase così conquistata da quelle parole, che si adagiò placidamente accanto a Giuseppe.

«Se è così, allora ti aspetterò.

Ti aspetterò quando sarò stanca, perché tu verrai a prendermi sulle spalle.

Ti aspetterò se dovessi perdermi, perché tu verrai a cercarmi.

Ti aspetterò quando avrò fame, perché so che tu, a costo di morire per me, mi darai da mangiare.

Ti aspetterò quando avrò sete, perché tu per dissetarmi farai sgorgare persino acqua dalla roccia.

Ti aspetterò quando mi sentirò sola, perché tu mi stringerai a te e mi riporterai nell’ovile».

E così, piano piano, la pecorella si addormentò contenta, felice di aver trovato quello che da tanto tempo cercava.

Il bambino la guardava con dolcezza e con la manina cercava di accarezzarne il morbido pelo ricciuto.

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