Ciao a tutti!
Sono sr. Maria Emmanuela, ma il mio nome di battesimo è Ingrid.
Sono una delle clarisse del Monastero San Damiano di Borgo. Condivido con le mie sorelle l’affascinante avventura di far vivere il carisma di santa Chiara in Trentino. Sono trentina, nata a Bolzano ma vissuta per lo più in Val di Fiemme, tranne i primi anni della mia vita quando i miei genitori si erano trasferiti per lavoro in Alto Adige.
All’età di 24 anni sono entrata in postulandato… nel lontano 1987, quando il monastero di Borgo aveva solo tre anni di vita! Questa mia “pazzia” è stata preceduta e accompagnata dalla misericordia del Signore che mi ha fatto dono di nascere in una famiglia credente, la quale, sebbene abbia vissuto la fede nel suo aspetto “visibile” con un certo pudore e riserbo, ha accompagnato i miei passi lasciandosi coinvolgere da questa inaspettata chiamata del Signore.
Sono la primogenita di tre figli e i nomi dei miei fratelli sono Federico ed Evelyn. Con loro due in modo particolare ho potuto condividere la vita in famiglia, gli impegni scolastici e le esperienze di vita ecclesiale. Dagli anni delle Medie ho partecipato ai vari gruppi giovanili tanto parrocchiali che decanali, frequentando anche il Movimento dei Focolari, e coltivando nel frattempo un forte fascino per la vita missionaria, alimentato dalle tante testimonianze di missionari e missionarie della mia valle che si alternavano nei periodi delle vacanze estive.
Ho compiuto gli studi superiori presso l’Istituto Statale d’Arte di Pozza di Fassa, iniziando poco dopo la maturità a lavorare come disegnatrice, dapprima in un paio di studi di architettura e poi nell’ufficio del Piano Urbanistico del Comprensorio della Val di Fiemme.
Nei miei sogni di ragazza c’erano due grandi ideali rispetto ai quali mi sentivo affascinata: costruirmi una famiglia allietata da tanti bimbi o… partire missionaria per l’Africa. La fantasia del Signore mi ha infine attirato verso l’impensato! La vita contemplativa in clausura!
Per la verità, nella mia famiglia la figura di san Francesco d’Assisi era tutt’altro che estranea: mia madre, che nella sua adolescenza aveva avuto modo di recarsi in pellegrinaggio ad Assisi, aveva scoperto recentemente la sua vocazione di francescana secolare, attirata dalla spiritualità di Francesco, dalla mitezza e povertà del Santo. Ma santa Chiara era per noi tutti un’illustre sconosciuta, anzi, la sua figura ci infondeva un certo timore, così come il misterioso mondo delle clarisse oltre la grata. Mai dire mai, quindi!
Due furono le tappe fondamentali nella scoperta della proposta vocazionale che il Signore mi stava facendo: un pellegrinaggio dei giovani della Diocesi in Terra Santa (2-12 luglio 1985) e una settimana di preghiera e lavoro presso un eremo dei Piccoli Fratelli di Charles de Foucault a Spello (10-17 agosto 1986). Il pellegrinaggio sulle orme di Gesù è stato fondamentale per aiutarmi a passa da una fede sì coltivata, ma sempre un po’ “aerea”, a una fede incarnata. Che impressione pensare che Gesù avesse camminato su quella stessa terra, pensarlo neonato nella grotta di Betlemme, immaginarlo sulle rive del lago di Tiberiade, seduto a insegnare nella sinagoga di Cafarnao, o ospite di Pietro a cafarnao o di Marta, Lazzaro e Maria a Betania e infine, lì tutto presente nel dono di se stesso nel Cenacolo e poi crocefisso e deposto in quel Sepolcro che, con la sua risurrezione, è rimasto vuoto per sempre! Incontrare la carne di Gesù è stato per me il primo e fondamentale sì alla chiamata, qualsiasi essa si sarebbe rivelata essere. Solo se Dio si era davvero fatto come me, potevo osar dire il mio Sì!
E l’anno seguente questa rivelazione si è compiuta: sempre con un gruppetto di giovani della Diocesi mi ero recata in Umbria, a Spello, dove ospiti in un eremo sul Subasio, condividevamo fra noi l’esperienza del lavoro e della preghiera, in particolare dell’adorazione eucaristica, recandoci quasi tutti i giorni presso l’eremo centrale, dove fratel Carlo Carretto ci guidava con le sue catechesi sul Servo sofferente. La mattina di sabato 16 agosto ci trasferimmo tutti a Perugia, presso il monastero Monteluce delle Clarisse: lì, dopo la santa Messa, incontrammo tre giovani sorelle, più o meno nostre coetanee. Se non bisogna credere troppo facilmente ai colpi di fulmine… ebbene ciò che è successo a me è la dimostrazione che invece essi sono possibili! Non avevo davanti a me tre monache… avevo davanti a me tre giovani donne che vedevo realizzate nella loro umanità e femminilità, vissuta in un’esistenza così poco appariscente, così nascosta eppure così feconda: da dove, infatti, poteva venire loro, altrimenti quella gioia e quella pace profonda? Quella bellezza della loro diversità di carattere e d’interessi? Poteva davvero Dio colmare così una vita, nel silenzio e nella ripetizione quotidiana dei salmi modulati su semplici melodie? Poteva quel lavoro condiviso e quel Pane spezzato dare significato a una vita?
“Dio mi ama, io ci credo, per questo prego” fu la spiazzante risposta di una di loro alla nostra domanda sulla preghiera difficile (avevamo tutti sperimentato la fatica di fare silenzio e di rimanere in adorazione davanti al Santissimo). Tutte queste domande furono per me la risposta certa che il Signore mi voleva figlia così, figlia come loro, come Chiara. Figlia.
Quanta gioia avevo scoperto in questa dimensione relazionale che mi permetteva finalmente di poter chiamare Dio col nome Padre! Figlia in Gesù, mio salvatore e redentore, figlia per mezzo dello Spirito che mi suggeriva di dire sì, fidandomi ciecamente dell’Invisibile e della Parola, come prima di me si erano fidati Maria e Giuseppe. Giuseppe non aveva forse sognato di farsi una famiglia sua con Maria? Non aveva forse sognato un figlio con i dolci occhi di lei? Eppure Dio gli aveva chiesto di rinunciare al suo sogno …ma non alla sua paternità: gli avrebbe dato in cambio suo Figlio! Il mio sì a questa vocazione a diventare sorella povera di santa Chiara è sbocciato così, qualche mese dopo, proprio nella solennità di san Giuseppe, sciogliendo come neve al sole la mia grande obiezione alla vocazione: il desiderio di diventare madre.
Giuseppe è stato per me testimone della fedeltà di Dio alle sue promesse, e quale promessa è più grande di quella inscritta nella nostra umanità di uomini e donne fatti per amare ed essere amati? Questo coinvolgersi di Dio con la nostra storia, con la mia storia, con i miei desideri, con la mia carne, ha fatto nascere il desiderio del mio nome nuovo, Emmanuela. L’Emmanuele è il Dio-con-noi, fatto uno-di-noi, fatto di carne e di sangue, circoscritto dentro il limite di un’esistenza ma in grado di spalancare il cuore oltre noi stessi, fino al fratello e alla sorella che abbiamo accanto, fino a Dio.
È Dio di misericordia che risana le nostre ferite e perdona i nostri peccati; è il Dio che rinnova la sua chiamata per noi ogni giorno. In Lui è solo il Sì, in Lui il nostro piccolo e fragile sì trova consistenza. Che ci sia dato di ripeterlo ogni giorno con gratitudine!
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