La santità feriale e quotidiana di Chiara d’Assisi alla luce di Gaudete et Exsultate

Pubblicato giorno 27 Novembre 2018 - ARTICOLI DEL BLOG, S. Chiara d'Assisi

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     Il 19 marzo 2018, solennità di S. Giuseppe, il Santo Padre Francesco, nel sesto anno del pontificato, ci ha donato una nuova perla che si aggiunge al suo Magistero: “Gaudete et exsultate”. Essa, come è detto esplicitamente nel sottotitolo, ha come argomento la “chiamata alla santità nel mondo contemporaneo”.

     L’Esortazione non vuole essere un trattato sulla santità, con tante definizioni e distinzioni che potrebbero arricchire questo importante tema. L’umile obiettivo del Papa è quello, e lo dice al n. 2 della G.E., di “far risuonare ancora una volta la chiamata alla santità cercando di incarnarla nel contesto attuale, con i suoi rischi, le sue sfide e le sue opportunità”. E in questo senso “spera che queste pagine siano utili perché tutta la Chiesa si dedichi a promuovere il desiderio della santità” (G.E. n. 177).

     Guardando alla vita della nostra madre S. Chiara, alla sua vita “mirabile”, ciò che colpisce è l’incontrarla nelle occupazioni quotidiane, sentirla accanto nello scorrere dei giorni. La sua santità passa attraverso il fare semplice del quotidiano. Anche di Chiara possiamo dire che è una santa della “porta accanto”.

La vediamo mentre lava le “comode” delle sorelle ammalate.

La vediamo alzarsi la notte per andare a coprire le sue sorelle.

La vediamo nella vita ordinaria vivere la vita fraterna inserita nel mistero di Dio. Perché è Dio stesso la sorgente della vita e della comunione. “Non ricusò nessuna incombenza delle serve, al punto che versava l’acqua sulle mani delle sorelle, assisteva quelle costrette a stare sedute e le serviva a tavola mentre mangiavano. Malvolentieri dava qualche comando, anzi li adempiva spontaneamente, preferendo fare le cose lei stessa piuttosto che ordinarle alle sorelle.” (F.F. 3180).

     Insieme alle sorelle Chiara a S. Damiano desidera vivere fraternamente, stare davanti a Dio in preghiera e diventare sorella povera (cfr. G.E. 6-11).

Insieme, Chiara e le sorelle sono  responsabili le une delle altre del cammino di santità intrapreso. L’organizzazione della vita quotidiana traduce questo loro desiderio; la Regola della comunità lo favorisce.

Chiara a S. Damiano vive con le sorelle una comunione semplice, intrisa dell’amore che animava Gesù stesso. Un amore che si esprime attraverso gesti concreti ma anche con gesti di tenero amore.

Nella G.E. al n. 6 il Papa ci dice: “Lo Spirito Santo riversa santità dappertutto nel santo popolo fedele di Dio, perché «Dio volle santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo, che lo conoscesse secondo la verità e lo servisse nella santità»”.

    È nella fraternità, nel “piccolo gregge” di S. Damiano che Chiara esprime gesti di santità, parla e si comporta con parole di santità, di amore verso il Signore.

Le sorelle vivono insieme, affinché “la carità, l’umiltà e l’unità che hanno tra loro cambi in dolcezza tutto ciò che è penoso e amaro”.

Continua il Papa ai nn. 19 e 20 della G.E.: “Per un cristiano non è possibile pensare alla propria missione sulla terra senza concepirla come un cammino di santità, perché «questa infatti è la volontà di Dio, la vostra santificazione». Ogni santo è una missione; è un progetto del Padre per riflettere e incarnare in un momento determinato della storia un aspetto del Vangelo. Tale missione trova pienezza di senso in Cristo e si può comprendere solo a partire da Lui. In fondo, la santità è vivere in unione con Lui i misteri della sua vita”.

     Chiara a S. Damiano esorta le sorelle ad “amarsi reciprocamente nella carità di Cristo, e a dimostrare l’amore che è nel cuore al di fuori con le opere, affinché le sorelle, provocate da questo esempio, crescano sempre nell’amore di Dio e nella mutua carità” che è santità. Questa esortazione della madre Chiara ci invita a dare forma a fatti, gesti, silenzio, parole, all’amore deposto nei nostri cuori.

L’amore, gli esempi di santità quotidiana, feriale, sembrano avere fretta di espandersi per dire la grandezza dell’amore di Dio.

Rispetto, discrezione, premura e tenerezza manifestano nel corso della giornata, di giorno e di notte, la sollecitudine di Chiara per ognuna delle sue sorelle.

Il suo biografo dice che “la Santa non limitava il suo affetto all’anima delle sorelle, ma si applicava anche con meravigliosa carità a curare i loro corpi”.

Quelle sorelle che testimoniano a questo proposito dopo la morte di Chiara ne ricordano gesti semplici che manifestano l’attenzione discreta, la cura premurosa, l’umile servizio (cfr. F.F. 2925).

Nella Regola viene riassunto quanto detto: “L’una manifesti all’altra le sue necessità. E se una madre ama e nutre la sua figlia carnale, con quanta maggiore cura deve una sorella amare e nutrire la sua sorella spirituale” (F.F. 2798).

Chiara è la madre che nutre, è sorella che ama. Non basta condividere il pane, versare l’acqua, alleviare il dolore e lavare i piedi. Occorre anche dare al cuore il suo nutrimento indispensabile e prezioso, capace di rivelare il valore unico di ogni volto.

“Essa stessa lavava i sedili delle inferme con quel suo nobile spirito, senza schifare la sporcizia né inorridire per il cattivo odore. Quando le sorelle serventi ritornavano da fuori, spesso lavava loro i piedi e, dopo averli lavati li baciava”.

“Ogni santo – ci ha ricordato il Papa  nella G.E. al n. 19 – è una missione, è un progetto del Padre per riflettere e incarnare, in un momento della storia, un aspetto del Vangelo”.

E, lavare i piedi e baciarli è puro Vangelo! Gesù nell’Ultima Cena, ci racconta S. Giovanni,  “si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto.” (Gv 13,4-6).

     E ancora ci raccontano le Fonti: “C’era una volta in monastero un solo pane, mentre si avvicinava l’ora della fame e del pranzo. Chiamata quella che doveva servire, la santa le comanda di dividere il pane in due parti: una da mandare ai frati e l’altra da conservare dentro per le sorelle. Della metà che era stata conservata ordina che se ne facciano cinquanta fette, secondo il numero delle “signore” e che vengano loro servite alla mensa della povertà. Al che la figlia devota rispondeva: «Qui sarebbero necessari gli antichi miracoli di Cristo per far sì che si riesca a fare cinquanta parti di un pezzo di pane tanto piccolo». Ma la madre rispose dicendo: «Figlia, fa’ con fiducia quel che ti dico». Si affretta la figlia a eseguire i comandi della madre, mentre si affretta la madre rivolge più sospiri al suo Cristo per le figlie. Per intervento divino quella piccola quantità crebbe tra le mani di quella che la divideva, cosicché ciascuna nella comunità ricevette una porzione abbondante.” (F.F. 3189).

Sempre S. Giovanni ci racconta che “Gesù passò all’altra riva e lo seguiva una grande folla. … Sono affamati ma non c’è niente da dare loro da mangiare. «C’è un ragazzo che ha cinque pani e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Si misero a sedere, Gesù prese il pane e dopo aver reso grazie li diede a quelli che erano seduti. Quando furono saziati, raccolsero i pezzi avanzati e riempirono dodici canestri.” (cfr. Gv 6,1-13). Chiara come Gesù si affida al Padre, anche lei nella preghiera rende grazie, si abbandona fiduciosa al suo amore provvidente. E il Padre non delude la sua preghiera, ma l’ascolta e l’esaudisce.

     Chiara a S. Damiano consola le afflitte, è l’ultimo rifugio di quelle che sono nella prova. E le sorelle diranno quanto: “Madonna Chiara prendeva parte alle pene delle sorelle”. È lei che invita le sorelle a un amore di reciprocità, al servizio della vita, in un clima di fiduciosa apertura all’altra. Affidate le une alle altre, le sorelle possono “camminare sulla via della beatitudine”.

     Come si fa allora per arrivare a essere un buon cristiano?

Al n. 63 della G.E. Papa Francesco ci addita le beatitudini (cfr. Mt 5,3-12; Lc 6,20-23): “Esse sono come la carta d’identità del cristiano. In esse si delinea il volto del Maestro, che siamo chiamati a far trasparire nella quotidianità della nostra vita”. E al n. 64: “La parola “felice” o “beato” diventa sinonimo di “santo”, perché esprime che la persona fedele a Dio e che vive la sua parola raggiunge, nel dono di sé, la vera beatitudine”. Come ci ricorda Chiara nel Testamento: “Perciò, se avremo vissuto la suddetta forma, lasceremo agli altri un nobile esempio e con una fatica di brevissima durata ci guadagneremo il premio della beatitudine eterna.” (F.F. 2830).

     Chiediamo come ci chiede il Papa al n. 177 della G.E.: “che lo Spirito Santo infonda in noi un intenso desiderio di essere santi e incoraggiamoci a vicenda in questo proposito. Così condivideremo una felicità che il mondo non ci potrà togliere”. Così sia per tutti noi.

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