M. Monica Della Volpe – Capitolo alla comunità per la V domenica di Quaresima

Pubblicato giorno 6 Aprile 2017 - Vita consacrata e monastica

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dal sito Nuova Citeaux

Madre Monica della Volpe, ocso

DOMENICA V DI QUARESIMA – capitolo alla comunità di Valserena

La risurrezione di Lazzaro

Domenica scorsa, con la guarigione del cieco nato, abbiamo visto che la figura del cieco nato ha soprattutto il valore di un segno, sacramento; il dramma non è quello della conversione del cieco: l’uomo non ha peccato… ma è predisposto ad essere il segno stesso della salvezza. … Gesù opera consapevolmente e senza preamboli un segno sacramentale perché altri vedano e comprendano:

«Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. [4]Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. [5]Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo».

Nel Vangelo di oggi, Giovanni 11, la risurrezione di Lazzaro, il discorso prosegue: Gesù è la luce del mondo, e questa luce è la vita. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini (Prologo); oggi è come se dicesse: Io sono la luce e questa luce è la vostra vita.

La Pasqua è preparata da un discorso sulla vita, e su Gesù figlio di Dio che è la nostra vita; lo Spirito Santo ci doni di comprenderlo, perché è di importanza capitale in questo tempo di morte. Oggi si parla molto di morte: morti nelle calamità naturali; molto peggio, nelle guerre. Morti nella violenza che dilaga; molto peggio, le cifre impressionanti degli aborti.

Tristissimo, l’eutanasia che avanza. Come mai?

In questo panorama è bene chiedersi: cos’è la vita? Cos’è la vita umana? Numero, statistica, polvere senza importanza? Oppure, quello che avevamo sempre creduto, creazione unica e irripetibile di Dio?

La prima lettura ci dice in modo commovente uno dei punti più alti della fede di Israele, il piccolo popolo cui, fra tutti, è stato rivelato il vero Dio, e anche il nostro cuore cristiano non può che sussultare a queste parole:

“Così dice il Signore Dio: Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi faccio uscire dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nella terra d’Israele. [13]Riconoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi farò uscire dai vostri sepolcri, o popolo mio. [14]Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete; vi farò riposare nella vostra terra. Saprete che io sono il Signore. L’ho detto e lo farò”». Oracolo del Signore Dio. (Ez 37, 12-14)

Il Dio di Israele è il Dio della vita. Il Dio Creatore. Come ha creato, così Egli può ridare la vita. Il suo popolo è suo popolo in eterno. Rivivrà. Una delle pagine più grandi, così chiara nella ispirazione del profeta, ma che non può evidentemente divenire con la stessa chiarezza la coscienza del popolo nella risurrezione di ciascuna persona, proprio quella, con la sua carne i suoi nervi e la sua pelle, così come nella visione. Sarà piuttosto la coscienza della risurrezione di un popolo, della eterna grandezza di un popolo che risorgerà dopo il suo esilio.

Ma questa liturgia ci dice: qui, in questa profezia, c’è qualcosa di più, molto di più.

Molto, molto di più ci dice san Paolo nella seconda lettura, tanto che dobbiamo fare un passo per volta e lasciarla a dopo il Vangelo se ci sarà tempo.

Che cosa ci dice il Vangelo? Certamente ci riconferma la parola di Ezechiele:

Riconoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi farò uscire dai vostri sepolcri.

Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato.

I discepoli stanno parlando di morte, hanno paura, sono depressi: cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo? E, sentito che Lazzaro è morto e che Gesù vuole andare da lui: «Andiamo anche noi a morire con lui!». Ormai non c’è altro orizzonte possibile che la morte! Eppure Gesù, all’udire che Lazzaro era ammalato, aveva detto subito: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio.

Questo miracolo dunque, come e più di quello del cieco nato, è un segno consapevolmente compiuto da Gesù come segno decisivo della sua rivelazione al popolo di Israele. Ogni cosa è stata predisposta in questo senso, e si comprende nella narrazione quanto sia costato a Gesù indugiare, lasciare che Lazzaro morisse perché così era necessario che fosse e con quanta determinazione si sia poi avviato a compierlo.

Avranno ben ragione Marta e Maria poi a lamentarsi: Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Che sottintende: ma perché non sei venuto? Sì, Gesù sapeva bene quello che stava accadendo e lo ha lasciato accadere, perché sapeva che accadeva unicamente perché fosse glorificato il Figlio di Dio. Sì, Israele doveva giungere alla duplice coscienza che Dio può realmente ridare la vita a ogni persona umana, questa vita, la vita di questo corpo; Israele doveva giungere in pienezza alla fede anticipata dalle parole di Marta: io so che risusciterà nell’ultimo giorno. Ma, oltre a questo, doveva giungere alla fede ancora anticipata da Marta nelle parole: Sì o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo! E ancora, questo stesso Figlio di Dio, Gesù, doveva essere glorificato agli occhi di Israele, glorificato col riconoscimento che Egli era il Dio della vita, che può darla, può toglierla e può ridarla ancora – e che desidera sommamente ridarla in pienezza a coloro che ama – questo il messaggio più commovente e più sorprendente di questa pagina realmente somma.

Riconoscimento tanto enorme che doveva poi portare al suo rifiuto, alla sua condanna, alla glorificazione del suo amore divino nella morte di croce; Dio ci ama tanto che ci ridona la vita a prezzo della sua.

Questo miracolo deve dunque introdurre alla comprensione della pienezza della rivelazione, che sarà completa nel giorno della risurrezione di Gesù. É la rivelazione della vita, della vita eterna, di Gesù Cristo Figlio di Dio come Dio della vita, questa vita e la vita eterna.

Molti commentatori rilevano come la vita che è ridata in questa stupenda pagina a Lazzaro non è la vita di Gesù risorto, è piuttosto come quella data alla fanciulla – Talità, kum! – o al figlio della vedova di Naim. É questa nostra vita, che in ogni caso ci sarà nuovamente tolta., mentre quella del risorto è già la vita eterna, quella che sarà data anche a noi e non ci sarà tolta mai più.

E tuttavia questa vita che ci è ridata da Gesù e in Gesù è anche pegno e anticipo di quelle vita nuova ed eterna. Ornai il Padre è venuto in nostro aiuto, ormai abbiamo conosciuto la carità del Figlio, ormai possiamo pregare con l’orazione di oggi:

Vieni in nostro aiuto, Padre misericordioso, perché possiamo vivere e agire sempre in quella carità che spinse il tuo Figlio a dare la vita per noi.

Ormai possiamo rileggere il brano di San Paolo, Romani 8, 8-11 nella seconda lettura:

[8]Quelli che si lasciano dominare dalla carne non possono piacere a Dio. [9]Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. [10]Ora, se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto per il peccato, ma lo Spirito è vita per la giustizia. [11]E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi.

Dopo l’esperienza della risurrezione, Lazzaro è pronto per ricevere anche la vita dello Spirito, – e forse le sue sorelle, che a tal punto hanno confessato la loro fede, erano pronte anche prima.

Siamo pronte noi, almeno a comprendere che cosa sia la vita dello Spirito? Certamente in quanto cristiane e monache sì, in quanto esseri umani della nostra epoca e della nostra società, molto meno, facciamo molta fatica.

Questa pagina ci dice come il nostro Dio è il Dio della vita, ama la vita, si commuove per la vita e per l’amore alla vita (il pianto di Maria!). Come ha potuto la fede cristiana diventare una fede da beccamorti? Teschi, mortificazioni, OK, ma per la vita! Come abbiamo potuto non capire più e pensare che la vita fosse da un’altra parte?

Per il peccato. Il peccato è la morte.

Dio ha creato la vita per l’Amore dell’altro – il Padre per il Figlio, il Figlio per il Padre e lo Spirito per i Due… Nell’uomo, il peccato ha trasformato l’amore dell’altro in amore di sé (egoismo). L’amore di sé ha generato la morte – Capiamolo!!!

Quando “ci sentiamo morti” siamo in crisi, siamo negli sprofondi, siamo infelici, siamo depressi, nessuno ci ama nessuno ci ascolta, c’è un modo molto semplice per tirarsi fuori: volere tirarsi fuori dall’amore di sé (è una scelta!) e amare gli altri (è una scelta!). Basta un piccolo servizio, una piccola fedeltà, un piccolo sorriso, fatti col cuore e non per forma, e un piccolo grazie a Dio. E si riparte.

“L’inferno sono gli altri”? NO. L’inferno sono io, quando mi chiudo agli altri e odio gli altri.

Sto leggendo un filosofo contemporaneo tedesco, Spaemann, che trovo interessantissimo; spiega che il concetto centrale della filosofia non è il pensiero, ma il concetto di VITA. Non cogito ergo sum, ma vivo, ergo sum… e subito capisco che la vita non me la do io, e subito posso ringraziare.

Io sono, perché vivo, e vivo perfettamente in quanto penso: l’essere cosciente, l’essere umano, è la perfezione di questa vita, ma non è la sorgente della vita.

L’amore poi è il compimento di questa “vita perfetta”, di questa coscienza che ci è donata.

Allora, per risalire dalla cultura della morte, come dal sepolcro Lazzaro, bisogna cambiare filosofia. Non: esistiamo perché per caso gli atomi si sono messi insieme; dunque la vita diventa un fatto relativo. Non: questo non è un bambino perché non ho voluto fabbricarlo e programmarlo io – ma neanche: la mia sorella, la mia comunità, le circostanze che mi trovo a vivere non mi vanno bene perché non sono come direi io. Queste sono tutte conseguenze di un’ impostazione errata di pensiero che, anche se siamo cristiane, anche se siamo monache, a volte ci influenza ancora.

Riceviamo dalla liturgia di oggi la certezza che la vita è un dono che ci viene da Dio, e che Egli può salvare e rinnovare. Che ha salvato e rinnovato – lo rivivremo a Pasqua – e perciò possiamo viverla nella fede e nella gratitudine.

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