
Voi mi direte: ma com’è possibile che tu abbia incontrato Chiara d’Assisi, se è vissuta più di 800 anni fa, donna del Medioevo, così lontana dal post-post-moderno super-digitale nostro…?
Ebbene sì. Avevo 23 anni, nel 1993. Da poco avevo riscoperto la fede, quella che finalmente ha raggiunto la mia vita, la mia carne, le mie domande e inquietudini. I miei bisogni e desideri più profondi e grandi. Sono nata in una famiglia che mi ha trasmesso la gioia e la fiducia nella vita, in Dio, nella Chiesa, nel crescere… eppure l’adolescenza da brava ragazza trasgressiva qual ero, mi faceva fare in fondo quello che volevo. Alle domande sull’amore e sulla verità rispondevo con criteri miei e così…nonostante tanta voglia di voler bene e di amare, anche la relazione più importante con un ragazzo si era piano piano spenta e un grande vuoto in me ha cominciato a farsi sentire, a gridare, a chiedere di essere ascoltato.
Ecco: ho ascoltato questo vuoto e questo grido in me che chiedevano di trovare unità in questa mia vita così frammentata a forza di voler accontentare tutti e nessuno. Mi chiedevo il perché di tante cose, del perché non durano…cercavo un amore capace di resistere ai tuoni e fulmini della vita, della mia debolezza!
Finalmente quel vuoto mi ha svegliata. E un invito inatteso di un’amica, mi ha fatto conoscere la realtà della Pastorale Giovanile diocesana: un gruppo di giovani che si trovavano ogni sabato mattina per ascoltare il vangelo e condividere le esperienze vissute e poi…per cercare le vie per comunicare il dono ricevuto: organizzare incontro per i giovani del decanato, curare le relazioni personali, coordinare le diverse realtà ecclesiali, movimenti, parrocchie, ecc.
E mentre scoprivo questa vita viva che generava vita (perché solo questo sazia veramente), vicende strane che solo la provvidenza sa ricamare con perfezione, sono andata a Denver alla Giornata Mondiale della Gioventù, insieme a migliaia di altri giovani da tutto il mondo. Sono partita con tante domande aperte e soprattutto con una grande lotta dentro di me: “questa vita nella fede, nella Chiesa, è bellissima, ma non è per me!” Tante contraddizioni e peccati del mio passato mi facevano sentire indegna, incapace di accogliere pienamente la vita di Dio. Ipocrita che ero, come se bisognasse guadagnarsela!
E invece proprio lì, nel luogo più lontano da casa, ritrovo me stessa fino in fondo, grazie ad una confessione bagnata da lacrime battesimali in cui ho sperimentato l’amore misericordioso di un Padre che ama tutto (dico: tutto!) di me. E il mio passato, il mio presente e il mio futuro gli appartiene: nessun peccato, nessuna resistenza, nessun ‘ma’ o ‘se’ sono per Lui un ostacolo o un’obiezione.
E fu lì che la mia vita si è incontrata con Chiara di Assisi! Già la conoscevo – diciamo ‘per sentito dire’ – con viaggi ad Assisi, marcia francescana, visita annuale con la famiglia alle clarisse di Borgo Valsugana… per non dire che il mio nome di Battesimo è Chiara! Ma accadde così: in quei giorni della GMG, mentre mi attardavo a chiaccherare di notte con un’amica nell’enorme dormitorio improvvisato per 1000 giovani, nella brandina vicino alla mia una ragazza si muoveva inquieta nel sonno a causa del sacco a pelo aperto e gli spifferi di freddo che non davano tregua. All’inizio cercavo di farmi cortesemente ed egoisticamente i fatti miei, un po’ presa dal mio colloquio, ma ancor più pigra per non scomodarmi dal mio calduccio. In un attimo, nella mia mente e nel mio cuore, mi si è fatta chiara alla memoria quell’episodio della vita di santa Chiara che nella povertà di S.Damiano, nella notte, copriva le sue sorelle. Le sorelle al processo di canonizzazione e la legenda dicono proprio così: “Spesso durante il freddo della notte, copriva di propria mano quelle che dormivano” (LegCh 38, Proc. II,3). Questo amore concreto, semplice, materno di Chiara mi ha fatto uscire dal mio sacco a pelo e fare questo banalissimo, umanissimo gesto: coprire chi mi sta accanto. E nel cuore mi è nata un’esclamazione: “Grazie Chiara, madre e sorella!” Quel gesto non è stato ‘solo’ un gesto: è come se mi avesse tirato fuori da me stessa, mi avesse tirato fuori quel di più di amore che non è il mio, non è la mia piccola misura. Ho compreso così come questa donna

nata otto secoli prima di me fosse viva e potesse insegnarmi oggi l’arte di amare. Che gioia profonda…una gioia che ancora oggi, dopo quasi trent’anni, mi abita dentro.
Tornata a casa nel mio piccolo Trentino, ho telefonato alle Clarisse di Borgo e per la prima volta – coscientemente! – ho chiamato l’abbadessa “Madre!”, chiedendole di vederla. Da quel momento, i miei viaggi Rovereto-Venezia (dove frequentavo l’università di architettura), spesso si fermavano a Borgo: incontri, colloqui, ritiri, sospensioni, dubbi, conferme… tutto ha macinato in me in quegli anni universitari un discernimento che mi ha portata, nel 1999 a varcare la soglia della clausura, con la piccola – e timida e anche trenante consapevolezza – che quel passo me lo chiedeva proprio il Signore. Non avevo altre certezze: dubitavo più di me che di Lui!
Varcando quella soglia ho iniziato il Postulato, che altro non posso dire se non: è iniziata l’avventura terribile e meravigliosa di conoscere di più Dio…e il mio piccolo ‘io’, così amato e così sconosciuto a me stessa, bisognoso di conoscere la via della libertà. Chiara direbbe “ci si incammina nella via della vita…”.
Vivere in comunità è un dono, a volte esigente, ma è una grazia, vero grembo che genera vita e insegna – volenti o nolenti – a donarla questa vita che ci teniamo strette con i denti. C’è voluto molto cammino anche in noviziato, negli anni di professione temporanea… fino alla solenne, quando ho poi compreso un po’ di più che la vita ormai l’avevo donata davvero tutta e per sempre, che non mi appartiene più, e che questo averla messa nelle mani di Dio passa necessariamente per le mani delle sorelle!
Proprio in quell’anno della professione solenne, nel 2007, ha raggiunto tutte le comunità della nostra federazione una domanda dell’allora Custode di Terra Santa, p. Pierbattista Pizzaballa, attuale Patriarca di Gerusalemme.


Chiedeva aiuto per rivitalizzare la comunità delle clarisse della Città Santa, bisognose di nuova linfa. È seguito un anno di discernimento, di confronto sia a livello federale che comunitario per maturare una risposta per nulla scontata. La prima reazione fu, ovviamente: “Qualcuno deve partire, ma non io!”. Eppure nel mio cuore non potevo tacere una disponibilità di fondo, piantata come un seme durante un pellegrinaggio fatto nel 1995 con gli universitari di Venezia. Non ero la sola a dare la disponibilità (quanta sensibilità e amore ci sono nel cuore di tutte!), ma alla fine la sorte cadde su di me e con stupore e tremore mi sono trovata nel 2008 parte di un gruppetto con altre cinque sorelle di altri monasteri per il Monastère Ste Claire a metà strada tra Gerusalemme e Betlemme.

Da quasi 13 anni sono qui, a scoprire ancora il mistero grande della mia vocazione e del volto di Chiara d’Assisi che qui ha anche il colore delle mie sorelle ruandesi, argentine, francesi. Quelle mani ancora mi parlano, ma è necessaria la traduzione culturale – difficilissima! – dell’amore per raggiungere il cuore della sorella così vicina, eppure lontana da te. La mano materna di Chiara ancora si prende cura di me, di noi, mi ammaestra nel superare me stessa e per chinarmi verso l’altra. È la carità di Chiara che mi ha innamorata di questa sua forma di vita, ed è sempre la sua carità che mi ha indicato le vie della preghiera, di uno sguardo fisso sull’umanità del Figlio di Dio incarnato nella nostra fragile umanità, nella quale il grido dell’uomo e della donna di oggi trova voce.

Prima di partire per Gerusalemme, dal mio amato monastero di Borgo mi è stata regalata una piccola icona di Chiara che mi dice molto di quest’arte di amare: Chiara tiene in braccio il Bambino Gesù che… scappa! Se vuoi trattenere l’amore, l’unico modo è donarlo. Il mistero di Dio non puoi trattenerlo (tanto meno solo per te!). Sfugge dalle mani, perché è infinito, è l’Altissimo. In una lettera Chiara lo dice meglio:
“I cieli con tutte le altre cose create
non possono contenere il Creatore,
l’anima fedele invece, ed essa sola,
è sua dimora e soggiorno,
e ciò soltanto a motivo della carità,
di cui gli empi sono privi.
È la stessa Verità che lo afferma:
Colui che mi ama, sarà amato dal Padre mio,
e io pure lo amerò; e noi verremo a lui
e porremo in lui la nostra dimora”.