“Mi sto inventando una missione?” La vita consacrata come profezia (2)

Pubblicato giorno 16 Dicembre 2018 - ARTICOLI DEL BLOG, S. Chiara d'Assisi

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[continua da “Mi sto inventando una missione?” La vita consacrata come profezia (1)]

 

Le istanze dei secoli XI – XIII

È risaputo che la Chiesa medievale si era trovata coinvolta nel sistema feudale: la confusione tra potere temporale e autorità spirituale aveva dato origine a abusi vari come il matrimonio e il concubinato del clero, il commercio delle cariche ecclesiastiche e l’investitura laica, mentre vescovi e abati erano spesso ricchi proprietari terrieri con i loro vassalli.

Ma la Divina Provvidenza aveva suscitato in tutta l’Europa un fremito di rinnovamento che coinvolse poco a poco ogni aspetto della vita culturale, religiosa e sociale. Una svolta decisiva venne in questo senso dalla riforma gregoriana con cui papa Gregorio VII, nell’XI secolo, sollecitava l’apporto dei laici al rinnovamento della vita ecclesiale e con cui dava organicità agli impulsi di cambiamento che attraversavano la Chiesa a partire dall’esperienza rinnovatrice di Cluny, allargatasi successivamente agli altri Ordini basati sulla Regola di san Benedetto. Tali correnti di rinnovamento monastico si richiamavano alla povertà individuale, al lavoro, alla vita eremitico-solitaria vissuta in forme sia cenobitiche sia anacoretiche.

Nacquero anche i predicatori itineranti, attraverso i quali il Vangelo arrivava in mezzo alla gente e alla città. Molti uomini e donne, conquistati dalla “vicinanza” del Vangelo, si ritiravano a vita comune secondo la primitivae ecclesiae forma, la forma della Chiesa primitiva. Cominciavano così a sorgere in tutta Europa gruppi pauperistico-evangelici caratterizzati dalla pratica di una vita povera attuata in comune.

Sul versante femminile prendeva progressivamente forma il fenomeno delle mulieres religiosae, donne animate dal desiderio di condurre vita religiosa all’interno dei gruppi pauperistici, o in forme di vita comunitaria semi-religiosa, o come recluse volontarie, o in comunità caratterizzate dalla vita povera. Le mulieres religiosae si svilupparono senza legami con le Regole monastiche esistenti né con ordini religiosi maschili, e si estesero a tutto l’Occidente. Nel XII secolo in tutto il Nord Europa si affermò l’esperienza del beghinaggio.

Papa Innocenzo III aveva offerto a questi uomini e donne la possibilità “di riunirsi alla Chiesa e di agire all’interno della gerarchia cattolica” valorizzando e incoraggiando le loro forme di vita. Successivamente il Concilio Lateranense IV del 1215, anche per arginare il rischio di deviazioni nell’eresia, stabilì che tali nuove forme di vita religiosa, per essere riconosciute, dovevano inserirsi nell’alveo delle antiche regole già approvate, quella di S. Agostino per i canonici, quella di S. Benedetto per la vita monastica e quella di S. Basilio per i cenobi di rito greco. Però tale decisione comportava il pericolo di omologare esperienze spirituali diverse a scapito della peculiarità dei diversi carismi. A questo pericolo riuiscirono a sottrarsi sia Francesco che Chiara che, in tempi diversi (rispettivamente 1223 e 1253), ottennero l’approvazione della loro forma di vita vedendo riconosciuta l’originalità e l’autenticità del loro carisma. Se per Francesco le cose furono più facili, per Chiara non fu così: il grande nodo che ostacolava l’approvazione ecclesiale era dato dalla scelta di assoluta povertà e dal rifiuto di ogni sicurezza economica[1].

Dunque, le istanze di rinnovamento espresso attraverso una viva ecclesialità, attraverso una tensione verso l’autenticità evangelica, la povertà personale e comunitaria, attraverso il bisogno di un’esperienza spirituale di preghiera e di azione più vicina alla gente, furono l’eredità provvidenziale che Francesco e Chiara raccolsero, insieme ad altri, all’inizio del XIII secolo.

[1]     Vedi il lo studio sulla storia della Regola di santa Chiara: Federazione S. Chiara di Assisi delle Clarisse di Umbria – Sardegna, Chiara d’Assisi, una vita prende forma.

La Chiesa percepiva il dramma delle istanze che del suo tempo (XII-XIII secolo): segnali di crisi che chiedevano un intervento divino. Non era scontata una soluzione positiva di queste crisi; eppure proprio queste istanze fecero risplendere il Vangelo con nuova forza attrattiva. È significativo al riguardo il famoso sogno che papa Innocenzo III aveva avuto pochi giorni prima che Francesco si recasse da lui per chiedergli l’approvazione della sua forma di vita:

Gli era parso che la basilica di San Giovanni in Laterano minacciasse di rovinare; ma un religioso, piccolo e di aspetto meschino, la sorreggeva puntellandola con le proprie spalle. Attonito e spaventato il Papa si risvegliò e, da uomo riflessivo e perspicace, si concentrò per scoprire il significato di un tale sogno. Pochi giorni appresso giunse Francesco, gli palesò il suo proposito e gli chiese la conferma della Regola che aveva steso con poche semplici parole, servendosi delle espres­sioni del Vangelo, la cui osservanza perfetta gli stava sommamen­te a cuore.

Il pontefice […] concluse tra sé: «In verità è questo l’uomo religioso e santo per mezzo del quale la Chiesa di Dio sarà rialzata e sostenuta».[1]

Il carisma francescano contiene in sé gli elementi di novità propri dell’esperienza religiosa del XIII secolo: Francesco e i suoi frati infatti assunsero come modello la forma del santo Vangelo[2]. Essi si impegnarono a “seguire la dottrina e l’esempio del Signore nostro Gesù Cristo[3], facendosi poveri e di abbracciando la marginalità come via per seguire il Cristo crocifisso. Quando a Francesco si unirono dei compagni, egli propose loro il servizio di Dio nella preghiera[4] e la pratica del lavoro[5] quale espressione di condivisione della vita dei poveri.

Il momento determinante dell’esperienza spirituale di Francesco, quello che gli fece percepire la misericordia come cuore del Vangelo e di ogni invito alla conversione, fu l’incontro con il lebbroso. Attraverso il lebbroso Francesco incontrò il Cristo Crocifisso per amore, da quel momento per Francesco “fare penitenza” e “fare misericordia” divennero sinonimi. Penetrare la realtà espressa dalla coincidenza di questi termini è la sola autentica chiave di lettura che permette di comprendere la scelta di povertà di Francesco e Chiara come amore per il Cristo Povero.

“Profetizzò a nostro riguardo…”

Il tema della profezia, come tale, è assente dagli scritti di Francesco e Chiara, ma non mancano riferimenti a questo tema nelle biografie dei due santi ai quali viene riconosciuto il carisma profetico. In particolare è interessante l’esperienza che Francesco ebbe riguardo a Chiara e sorelle, esperienza riportata da Chiara nel suo Testamento:

Il Figlio di Dio si è fatto nostra via; e questa con la parola e con l’esempio ci indicò e insegnò il beato padre nostro Francesco, vero amante e imitatore di lui. […] Mentre infatti, lo stesso Santo, che non aveva ancora né frati né compagni, quasi subito dopo la sua conversione, era intento a riparare la chiesa di San Damiano, dove, ricevendo quella visita del Signore nella quale fu inebriato di celeste consolazione, sentì la spinta decisiva ad abbandonare del tutto il mondo, in un trasporto di grande letizia e illuminato dallo Spirito Santo, profetò a nostro riguardo ciò che in seguito il Signore ha realizzato. Salito sopra il muro di detta chiesa, così infatti allora gridava, a voce spiegata e in lingua francese, rivolto ad alcuni poverelli che stavano li appresso: «Venite ed aiutatemi in quest’opera del monastero di San Damiano, perché tra poco verranno ad abitarlo delle donne, e nella loro esistenza e del loro tenore di  vita si renderà gloria al Padre nostro celeste in tutta la sua santa Chiesa».[6]

Sono interessanti i contenuti della profezia di Francesco: essi riecheggiano l’espressione di Gesù che, in seguito alla proclamazione delle beatitudini, rivela ai discepoli la loro più profonda identità, cioè quella di essere sale e luce[7] per i fratelli a gloria del Padre. È quasi la quintessenza della profezia: essa è tale se permette di cogliere un’evidenza, se fa percepire la realtà indicata, così come il sale fa percepisce il sapore del cibo o come la luce fa sì che sì possa vedere il mondo. La luce fa riconoscere la vita evangelica ma non attira l’attenzione su di sé: di per sé guardare una fonte luminosa produce un danno all’occhio. Così è per il sale: esso esalta il sapore dei cibi. Ma nessuno percepisce come qualità la “salatezza” del cibo a meno che il sale non sia troppo: essere sale della terra vuol dire esaltare la vita divina presente nell’umano. Ciò che Gesù indica nel Vangelo e che Francesco riferisce alle povere dame non si esaurisce qui: porta al rendimento di gloria al Padre, porta gli uomini-fratelli all’incontro con il Padre. Chiara ne è profondamente consapevole, tanto da paragonare la vocazione delle sorelle al servizio offerto da uno specchio[8]: coloro che cercano l’esempio e il modello della vita cristiana, accostandosi alle sorelle, dovrebbero potersi riflettere in esse, dovrebbero poter riconoscere se stessi in loro:

Infatti, proprio il Signore ha collocato noi come modello, ad esempio e specchio non solo per gli altri uomini, ma anche per le nostre sorelle, quelle che il Signore stesso ha chiamato a seguire la nostra vocazione, affinché esse pure risplendano come specchio ed esempio per tutti coloro che vivono nel mondo.

Avendoci, dunque, Egli scelte per un compito tanto elevato, quale è questo, che in noi si possano specchiare tutte coloro che chiama ad essere esempio e specchio degli altri, siamo estremamente tenute a benedire e a lodare il Signore, ed a crescere ogni giorno più nel bene. Perciò, se vivremo secondo la predetta forma di vita, lasceremo alle altre un nobile esempio e, attraverso una fatica di brevissima durata, ci guadagneremo il pallio della beatitudine eterna.

 

 

I contenuti del carisma: vita penitente condotta in santa unità e altissima povertà

 

La profezia di Francesco afferma: “nella loro esistenza e del loro tenore di vita si renderà gloria al Padre nostro celeste in tutta la sua santa Chiesa. Cerchiamo di comprendere cosa intendesse Francesco con queste due sottolineature.

Nella loro esistenza”: si tratta della buona fama medievale, cioè della pubblica testimonianza resa a un vissuto virtuoso; mentre “del loro tenore di vita” indica il contenuto di quel esistere, di quel vissuto virtuoso.

Tale contenuto era dato dalla vita penitente di Chiara e delle sorelle, vita di conversione al Vangelo della misericordia iniziata in un giorno specifico[9] ma che perdura, instancabilmente, giorno per giorno.

Il tenore di vita della primitiva comunità damianita era dato da una vita di unità fraternaunità di spiriti la chiamerà papa Innocenzo IV, richiamando l’espressione santa unità usata dal Card. protettore Rainaldo[10]-.

E ancora: da una vita povera, non per passione pauperistica, ma per amore del Cristo povero. Solo l’amore per Cristo Povero ha dato a Chiara e sorelle la forza di scegliere una povertà assoluta e di provvedere da sé al loro sostentamento, rinunciando a ogni forma di rendita sicura per accettare “il rischio” dell’elemosina quando ve ne fosse la necessità[11]. Proprio perché espressione dell’amore a Cristo, la povertà di Francesco e Chiara è intesa come espropriazione e come restituzione: l’espropriazione è la confessione più eloquente che tutto “riceviamo ogni giorno dal Padre delle misericordie[12], che tutti i beni sono dono di Dio[13] e che “non ci appartengono se non i vizi e i peccati[14]. La restituzione poi, è il modo cristiano di vivere il rapporto con le cose in quanto ricevute da Dio, per cui il grande peccato, per Francesco è sempre l’appropriazione. Due sono le dimensioni inscindibili dell’altissima povertà che sempre si inverano a vicenda: la dimensione interiore che mette in rapporto con il Padre, proclamando così la verità ontologica dell’uomo come essere che si riceve, e la dimensione concreta, visibile, pratica, di rifiuto di ogni sicurezza economica e di ogni privilegio sociale.

Questi tre elementi fondamentali – vita penitente, via di unità fraterna, vita povera – si incarnavano, fin dall’inizio, per Chiara e le sue compagne, in una vita claustrale motivata dalla sequela di “Cristo e della sua santissima Madre[15], contemplati e imitati nel loro essere interamenti dediti alla volontà del Padre.


[1]      3Comp 52

[2]     “E dopo che il Signore mi diede dei fratelli, nessuno mi mostrava quello che io dovessi fare, ma l’Altissimo stesso mi rivelò che dovessi vivere secondo il modello del santo Vangelo”. Test, FF 116

[3]     “Coloro che venivano per abbracciare que­sta vita, distribuivano ai poveri tutto quello che potevano avere, ed erano contenti di una sola tonaca, rappezza­ta dentro e fuori, del cingolo e delle brache; e non volevamo avere di più”. Rnb, FF 2

[4]      Test, FF 118.

[5]     “E io lavoravo con le mie mani e voglio la­vorare; e voglio fermamente che tutti gli altri frati lavo­rino di un lavoro quale si conviene all’onestà. Colo­ro che non sanno, imparino, non per la cupidigia di rice­vere la ricompensa del lavoro, ma per dare l’esempio e tener  lontano l’ozio”. Test, FF 117

[6]      (TestsC, FF 2824. 2826-2827)

[7]     “Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini. Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli.” (Mt 5, 13-16)

[8]     (TestsC, FF 2829-2830)

[9]    “Dopo che l’altissimo Padre celeste si fu degnato, per sua misericordia e grazia, di illuminare il mio cuore perché incominciassi a fare penitenza, dietro l’esempio e l’ammaestramento del beatissimo padre nostro Francesco, poco tempo dopo la sua conversione, io, assieme alle poche sorelle che il Signore mi aveva donate poco tempo dopo la mia conversione, liberamente gli promisi obbedienza, conforme alla ispirazione che il Signore ci aveva comunicata attraverso la lodevole vita e l’insegnamento di lui.” (TestsC, FF 2831). Stando alla testimonianza della Legenda, Chiara abbandonò la casa paterna fuggendo verso la Porziuncola, dove l’attendeva la primitiva comunità francescana, nella notte della Domenica delle Palme del 1211.

[10]   “La Sede Apostolica suole acconsentire ai pii voti e benevolmente favorire gli onesti desideri di coloro che chiedono. Ora, da parte vostra ci è stato umilmente richiesto che ci prendessimo cura di confermare con la nostra autorità apostolica  la forma di vita, secondo la quale dovete vivere comunitariamente in unità di spiriti e con voto di altissima povertà, che vi fu data dal beato Francesco e fu da voi spontaneamente accettata, quella che il venerabile nostro fratello vescovo di Ostia e Velletri ritenne bene che fosse approvata, come è ampiamente contenuto nella lettera scritta a proposito dallo stesso vescovo.[…] Accondiscendendo alle vostre pie suppliche, con l’autorità del signor Papa e nostra, confer­miamo in perpetuo per voi tutte e per quelle che vi suc­cederanno nel vostro monastero e con l’appoggio della presente lettera avvaloriamo la forma di vita e il modo di santa unità e di altissima povertà, che il beato padre vostro Francesco vi consegnò a voce e in scritto da osser­vare.” (RsC, Prologo, FF 2745. 2749)

[11]    “Le sorelle non si approprino di nulla, né della casa, né del luogo, né d’alcuna cosa, e come pellegrine e forestiere in questo mondo, servendo al Signore in povertà e umiltà con fiducia mandino per la elemosina. E non devono vergognarsi, poiché il Signore si fece per noi povero in questo mondo. E questo quel vertice dell’altissima povertà, che ha costituto voi, sorelle mie carissime, eredi e regine del regno dei cieli, vi ha reso povere di sostanze, ma ricche di Virtù. Questa sia la vostra parte di eredità, che introduce nella terra dei viventi. Aderendo totalmente ad essa, non vogliate mai, sorelle dilettissime, avere altro sotto il cielo, per amore del Signore nostro Gesù Cristo e della sua santissima Madre.” (RsC, FF 2795)

[12]     (TestsC, FF 2823)

[13]    “E restituiamo al Signore Dio altissimo e sommo tutti i beni e riconosciamo che tutti i beni sono suoi e di tutti rendiamogli grazie, perché procedono tutti da Lui. E lo stesso altissimo e sommo, solo vero Dio abbia, e gli siano resi ed Egli stesso riceva tutti gli onori e la reverenza, tutte le lodi e tutte le benedizioni, ogni rendi­mento di grazia e ogni gloria, poiché suo è ogni bene ed Egli solo è buono.” (Rnb, FF 49)

[14]     (Ibidem. Cfr. l’intero cap. XVII Rnb, FF 46-49)

[15]     (Cfr. RsC, Prologo, FF 2748)

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