Monica Della Volpe, Capitolo della IV domenica di Quaresima

Pubblicato giorno 31 Marzo 2017 - Vita consacrata e monastica

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Dal sito Nuova Citeaux

Siamo in tema di catechesi sacramentale, un vangelo della Luce per preparare i catecumeni al battesimo della notte di Pasqua. Ci attira il riferimento sacramentale, poiché anche ieri riflettevamo sul sacramento, ci attirano anche le differenze significative con l’altra grande pagine della Samaritana che abbiamo da poco commentata.

Se l’incarnazione del Verbo è la radice e la sorgente di ogni sacramento, come dicevamo ieri, è la persona di Gesù, Verbo di Dio incarnato, vero uomo e vero Dio, che giganteggia in questi Vangeli: Gesù stesso è il sacramento di Dio, la sua presenza viva nel mondo. Nel Vangelo della Samaritana, al centro era l’incontro personale con lui, con la verità della sua personalità umana e divina, incontro che chiamava la verità stessa della donna a venir fuori, aprirsi, ascoltare, convertirsi, seguire. Il centro della scena era il dialogo fra i due, e la resistenza della donna alla verità dell’incontro cadeva subito a terra, vinta da quell’amore che aveva sempre cercato.

Qui il centro della scena è invece il muro delle tenebre che si erge davanti alla Luce del mondo e non la vuole accogliere. Il vero dramma è quello che si svolge fra Gesù e i Farisei, Gesù e i rappresentanti di quella Legge, quel Culto, quel Tempio che dovevano essere proprio il luogo del Dio vivente, il primo ad aprirsi per fare entrare il Re della Gloria.

Ma legge e tempio sono divenuti Istituzione che copre altri interessi, interessi privati, e il culto di conseguenza non è più reso al vero Dio, è divenuto quasi come i culti delle genti, idolatrici. E’ in fondo il dramma della chiesa di tutti i tempi, perennemente insidiata dalla tentazione di divenire semplice istituzione che conserva un potere e di una ricchezza, e non luogo dove si adora Dio e si cerca la sua verità e la sua volontà.

La figura del cieco nato ha soprattutto il valore di un segno, sacramento; il dramma non è quello della conversione del cieco: l’uomo non ha peccato, porta da sempre il suo pesante fardello, ha il cuore semplice, schietto, subito aperto alla verità. E qui la prima distanza: mentre per i Farisei il cieco nato non può che essere un peccatore colpito da Dio, per Gesù il povero, il sofferente è predisposto ad essere il segno stesso della salvezza.

L’incontro fra i due è preparato dal bisogno stesso: la cecità invoca di per se stessa  la guarigione, invoca la luce. Gesù opera consapevolmente e senza preamboli un segno sacramentale perché altri vedano e comprendano, e lo fa con una modalità precisa. Il fango nella spiegazione dei Padri evoca la nuova creazione, Gesù Luce del mondo è lo stesso Dio Creatore e Redentore: il cieco risanato lo comprende subito: quest’uomo viene da Dio.

Ma proprio perché la nuova creazione è redenzione, eliminazione della tenebra del peccato, il segno è ulteriormente evocativo. Lo sputo, la saliva di Gesù, mescolata alla terra e applica agli occhi, è medicina; ma lo sputo in sé può essere anche segno di disprezzo, e dura correzione. Ricordiamo l’Esodo, quando Maria per punizione è colpita dalla lebbra: se suo padre le avesse sputato in faccia, non ne porterebbe la vergogna per sette giorni? Il fango applicato sugli occhi può indicare la severa medicina della correzione, che apparentemente ti butta nelle tenebre, di fatto ti apre alla luce, prima di tutto della conoscenza di te, della tua tenebra, della Verità e del Bene che vengono da Dio. La collaborazione chiesta all’uomo, l’andare alla piscina a lavarsi, completa il segno. Segno di medicina/correzione e segno di guarigione, segno di morte e vita, segno battesimale: dalla coscienza della propria morte e cecità nasce la luce della vita nuova. Questo il segno che i Farisei rifiutano, cui non si vogliono aprire.

Drammatico e insieme interessantissimo per noi è il dialogo, piuttosto la contesa, che segue al miracolo. Uno solo è subito aperto alla verità, il cieco guarito. I più sono chiusi, e per chiudersi non esitano a negare l’evidenza, capovolgere la realtà, andare nell’assurdo, coprirsi di ridicolo: è una bella descrizione del nostro mondo che ha rifiutato il cristianesimo, della società postcristiana che ci circonda, che chiama vero il falso e falso il vero, che dice donne gli uomini e uomini le donne, che protegge gli animali e uccide i bambini, figli degli uomini, che distrugge per possedere e per non condividere, soprattutto che mente, mente sempre.

Interessantissime pure le figure dei genitori, la cui posizione è certo condivisa da molti nella folla: prima di tutto, non compromettiamoci, non rischiamo. La verità? Cosa è la verità? Non lo ha detto solo Pilato, lo dice anche la gente, certo più scusabile perché è povera gente, ma certo anche inescusabile perché la testimonianza resa alla luce è un dovere per ogni uomo. Tanto più grande il cieco guarito: si prostrò e lo adorò. Eccola la fede, ecco l’unico atteggiamento che rende giustizia al nostro Redentore.

In questa scena, dopo la prima domanda iniziale, i discepoli tacciono. Sembra che l’Evangelista ci chieda: in quale di questi attori del dramma vogliamo riconoscerci? La domanda è sempre attuale, anche nelle nostre piccole vite.

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