Parlare di ulivo, pensando alla Bibbia, ci fa venire in mente subito il ramoscello di ulivo recato nel becco dalla colomba dopo il diluvio universale (Gen 8, 11), perché anche questo albero sempre verde è simbolo di vita, di pace e di alleanza con Dio e con il creato. I libri del Pentateuco e i libri storici fanno spesso riferimento alla pianta dell’olivo e agli oliveti (Es 23, 11; Dt 6, 11) come coltivazione normale per il popolo di Israele. Si parla delle olive e dell’olio per illuminare (Es 27, 20; Lv 24, 2), delle focacce fatte con olio (Es 29, 2.23; Lv 2, 4) e anche del legno di ulivo impiegato anche come materiale prezioso per la costruzione del tempio (es. 1Re 6, 26.32, ecc.). L’Apologo del libro dei Giudici (9, 8-9) ci presenta efficacemente e sinteticamente il valore e l’uso dell’olivo e del suo prodotto:
«Si misero in cammino gli alberi per ungere un re su di essi. Dissero all’ulivo: “Regna su di noi”. Rispose loro l’ulivo: “Rinuncerò al mio olio, grazie al quale si onorano dèi e uomini, e andrò a librarmi sugli alberi?”».
Anche l’ulivo è una delle piante della terra promessa (Dt 8, 8) ed è simbolo del popolo di Israele radicato nel suo Signore (Sal 52, 10):
“Ma io, come olivo verdeggiante nella casa di Dio, confido nella fedeltà di Dio in eterno e per sempre”.
Non mi fermo a parlare dell’olio, prodotto dell’olivo (alimento, medicina, unguento, fonte di luce…), simbolo dell’unzione e dell’abbondanza del dono di Dio, sui re e sui profeti, che si rivela poi nella pienezza del dono dello Spirito Santo su l’Unto per eccellenza, il Cristo, il Messia e sui cristiani come ricorda il libro dell’Esodo (30, 22-33):
“Il Signore parlò a Mosè: «Procùrati balsami pregiati: mirra vergine per il peso di cinquecento sicli; cinnamòmo profumato, la metà, cioè duecentocinquanta sicli; canna aromatica, duecentocinquanta; cassia, cinquecento sicli, conformi al siclo del santuario; e un hin d’olio d’oliva. Ne farai l’olio per l’unzione sacra, un unguento composto secondo l’arte del profumiere: sarà l’olio per l’unzione sacra. Con esso ungerai la tenda del convegno, l’arca della Testimonianza, la tavola e tutti i suoi accessori, il candelabro con i suoi accessori, l’altare dell’incenso, l’altare degli olocausti e tutti i suoi accessori, il bacino con il suo piedistallo. Consacrerai queste cose, che diventeranno santissime: tutto quello che verrà a contatto con esse sarà santo. Ungerai anche Aronne e i suoi figli e li consacrerai, perché esercitino il mio sacerdozio. Agli Israeliti dirai: Questo sarà per me l’olio dell’unzione sacra, di generazione in generazione. Non si dovrà versare sul corpo di nessun uomo e di simile a questo non ne dovrete fare: è una cosa santa e santa la dovrete ritenere. Chi ne farà di simile a questo o ne porrà sopra un uomo estraneo, sia eliminato dal suo popolo»”.
Come avviene per noi la Domenica delle Palme, i rami di ulivo sono anche simbolo di festa; così si esprimono alcuni passi biblici; il Salmo (128, 3) ben noto: “La tua sposa come vite feconda nell’intimità della tua casa; i tuoi figli come virgulti d’ulivo intorno alla tua mensa”;
e il libro di Giuditta (15, 13):
“Insieme con loro si incoronò di fronde di ulivo: si mise in testa a tutto il popolo, guidando la danza di tutte le donne, mentre seguivano, armati, tutti gli uomini d’Israele, portando corone e inneggiando con le loro labbra”.
Non mancano nei profeti i riferimenti a questa pianta e al suo valore simbolico anche per noi. Esso è segno di novità di vita, operata non dalle capacità dell’uomo ma da un Dio, che cambia il mondo e la storia e (Is 41, 19-20):
“Nel deserto pianterò cedri, acacie, mirti e ulivi; nella steppa porrò cipressi, olmi e abeti; perché vedano e sappiano, considerino e comprendano a un tempo che questo ha fatto la mano del Signore, lo ha creato il Santo d’Israele”.
Quest’opera di Dio è spesso disprezzata dall’uomo e da lui anche ridotta male (Ger 11, 15-19):
“Che fa il mio diletto nella mia casa? Tu hai commesso azioni malvagie. Voti e carne di sacrifici allontanano forse da te la sventura, per poter ancora schiamazzare di gioia?». Ulivo verde, maestoso, era il nome che il Signore ti aveva imposto. Con grande strepito sono date al fuoco le sue foglie, e i suoi rami sono bruciati. Il Signore degli eserciti che ti ha piantato annuncia la sventura contro di te, per la malvagità che hanno commesso a proprio danno Israele e Giuda, irritandomi con il bruciare incenso a Baal. Il Signore me lo ha manifestato e io l’ho saputo; mi ha fatto vedere i loro intrighi. E io, come un agnello mansueto che viene portato al macello, non sapevo che tramavano contro di me, e dicevano: «Abbattiamo l’albero nel suo pieno vigore, strappiamolo dalla terra dei viventi; nessuno ricordi più il suo nome»”.
Una presenza che non viene mai meno è quella di Dio, come evidenzia il profeta Zaccaria (14, 3-9) che anticipa la presenza del Messia sul monte degli ulivi, quella storica e quella escatologica:
“Il Signore uscirà e combatterà contro quelle nazioni, come quando combatté nel giorno dello scontro. In quel giorno i suoi piedi si poseranno sopra il monte degli Ulivi che sta di fronte a Gerusalemme verso oriente, e il monte degli Ulivi si fenderà in due, da oriente a occidente, formando una valle molto profonda; una metà del monte si ritirerà verso settentrione e l’altra verso mezzogiorno. Allora voi fuggirete attraverso la valle fra i monti, poiché la nuova valle fra i monti giungerà fino ad Asal; voi fuggirete come quando fuggiste durante il terremoto, al tempo di Ozia, re di Giuda. Verrà allora il Signore, mio Dio, e con lui tutti i suoi santi. In quel giorno non vi sarà né luce né freddo né gelo: sarà un unico giorno, il Signore lo conosce; non ci sarà né giorno né notte, e verso sera risplenderà la luce. In quel giorno acque vive sgorgheranno da Gerusalemme e scenderanno parte verso il mare orientale, parte verso il mare occidentale: ve ne saranno sempre, estate e inverno. Il Signore sarà re di tutta la terra. In quel giorno il Signore sarà unico e unico il suo nome”.
Vi è, quindi, per noi anche immediatamente un richiamo al monte degli Ulivi, luogo di transito ma anche di pace, di riposo (in Lc 21, 37 addirittura di pernottamento), di conversazione e di preghiera per Gesù (Mt 21, 1 e 24, 3; Mc 11, 1 e 13, 3; Lc 19, 29.37; Gv 8, 1), e soprattutto nel suo orto, dove si compie la sua passione e dove avvengono il tradimento, l’abbandono e l’arresto (Mt 26, 30-56; Mc 14, 26-52; Lc 22, 39-54). Un ambiente caro a Gesù; ci andava “come al solito” (Lc 22, 39), come lo illustra anche san Giovanni (18, 1-5):
“Dopo aver detto queste cose, Gesù uscì con i suoi discepoli al di là del torrente Cedron, dove c’era un giardino, nel quale entrò con i suoi discepoli. Anche Giuda, il traditore, conosceva quel luogo, perché Gesù spesso si era trovato là con i suoi discepoli. Giuda dunque vi andò, dopo aver preso un gruppo di soldati e alcune guardie fornite dai capi dei sacerdoti e dai farisei, con lanterne, fiaccole e armi. Gesù allora, sapendo tutto quello che doveva accadergli, si fece innanzi e disse loro: «Chi cercate?». Gli risposero: «Gesù, il Nazareno». Disse loro Gesù: «Sono io!»”.
Su quel monte o nei suoi pressi come attestano gli Atti degli Apostoli avviene anche la Ascensione del Signore al cielo (At 1, 6- 14):
“Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra». Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo». Allora ritornarono a Gerusalemme dal monte detto degli Ulivi, che è vicino a Gerusalemme quanto il cammino permesso in giorno di sabato. Entrati in città, salirono nella stanza al piano superiore, dove erano soliti riunirsi: vi erano Pietro e Giovanni, Giacomo e Andrea, Filippo e Tommaso, Bartolomeo e Matteo, Giacomo figlio di Alfeo, Simone lo Zelota e Giuda figlio di Giacomo. Tutti questi erano perseveranti e concordi nella preghiera, insieme ad alcune donne e a Maria, la madre di Gesù, e ai fratelli di lui”.
Guardando a quest’albero è interessante anche il discorso di San Paolo sull’olivo innestato sull’antico ceppo, per parlare di noi nuovo popolo di Dio, provenienti dal paganesimo, e di ciascuno di noi chiamati a verificare e mantenere questo innesto in Cristo e nella più ampia Storia della Salvezza con una prospettiva universale mai conclusa (Rm 11, 13-24):
“A voi, genti, ecco che cosa dico: come apostolo delle genti, io faccio onore al mio ministero, nella speranza di suscitare la gelosia di quelli del mio sangue e di salvarne alcuni. Se infatti il loro essere rifiutati è stata una riconciliazione del mondo, che cosa sarà la loro riammissione se non una vita dai morti? Se le primizie sono sante, lo sarà anche l’impasto; se è santa la radice, lo saranno anche i rami. Se però alcuni rami sono stati tagliati e tu, che sei un olivo selvatico, sei stato innestato fra loro, diventando così partecipe della radice e della linfa dell’olivo, non vantarti contro i rami! Se ti vanti, ricordati che non sei tu che porti la radice, ma è la radice che porta te. Dirai certamente: i rami sono stati tagliati perché io vi fossi innestato! Bene; essi però sono stati tagliati per mancanza di fede, mentre tu rimani innestato grazie alla fede. Tu non insuperbirti, ma abbi timore! Se infatti Dio non ha risparmiato quelli che erano rami naturali, tanto meno risparmierà te! Considera dunque la bontà e la severità di Dio: la severità verso quelli che sono caduti; verso di te invece la bontà di Dio, a condizione però che tu sia fedele a questa bontà. Altrimenti anche tu verrai tagliato via. Anch’essi, se non persevereranno nell’incredulità, saranno innestati; Dio infatti ha il potere di innestarli di nuovo! Se tu infatti, dall’olivo selvatico, che eri secondo la tua natura, sei stato tagliato via e, contro natura, sei stato innestato su un olivo buono, quanto più essi, che sono della medesima natura, potranno venire di nuovo innestati sul proprio olivo!”.
Ci inquieta ma ci responsabilizza per il nostro essere testimoni credibili e presenza viva e vera, a volte coraggiosa e fedele – come una pianta sempre verde – un altro riferimento all’olivo nell’ultimo libro della Sacra Scrittura (Ap 11, 3-14):
“Ma farò in modo che i miei due testimoni, vestiti di sacco, compiano la loro missione di profeti per milleduecentosessanta giorni». Questi sono i due olivi e i due candelabri che stanno davanti al Signore della terra. Se qualcuno pensasse di fare loro del male, uscirà dalla loro bocca un fuoco che divorerà i loro nemici. Così deve perire chiunque pensi di fare loro del male. Essi hanno il potere di chiudere il cielo, perché non cada pioggia nei giorni del loro ministero profetico. Essi hanno anche potere di cambiare l’acqua in sangue e di colpire la terra con ogni sorta di flagelli, tutte le volte che lo vorranno. E quando avranno compiuto la loro testimonianza, la bestia che sale dall’abisso farà guerra contro di loro, li vincerà e li ucciderà. I loro cadaveri rimarranno esposti sulla piazza della grande città, che simbolicamente si chiama Sòdoma ed Egitto, dove anche il loro Signore fu crocifisso. Uomini di ogni popolo, tribù, lingua e nazione vedono i loro cadaveri per tre giorni e mezzo e non permettono che i loro cadaveri vengano deposti in un sepolcro. Gli abitanti della terra fanno festa su di loro, si rallegrano e si scambiano doni, perché questi due profeti erano il tormento degli abitanti della terra. Ma dopo tre giorni e mezzo un soffio di vita che veniva da Dio entrò in essi e si alzarono in piedi, con grande terrore di quelli che stavano a guardarli. Allora udirono un grido possente dal cielo che diceva loro: «Salite quassù» e salirono al cielo in una nube, mentre i loro nemici li guardavano. In quello stesso momento ci fu un grande terremoto, che fece crollare un decimo della città: perirono in quel terremoto settemila persone; i superstiti, presi da terrore, davano gloria al Dio del cielo. Il secondo «guai» è passato; ed ecco, viene subito il terzo «guai»”.
Interessante e di attualità il richiamo della Legge a lasciare qualcosa per i poveri al momento della raccolta delle olive (Dt 24, 19-22):
“Quando, facendo la mietitura nel tuo campo, vi avrai dimenticato qualche mannello, non tornerai indietro a prenderlo. Sarà per il forestiero, per l’orfano e per la vedova, perché il Signore, tuo Dio, ti benedica in ogni lavoro delle tue mani. Quando bacchierai i tuoi ulivi, non tornare a ripassare i rami. Sarà per il forestiero, per l’orfano e per la vedova. Quando vendemmierai la tua vigna, non tornerai indietro a racimolare. Sarà per il forestiero, per l’orfano e per la vedova. Ricòrdati che sei stato schiavo nella terra d’Egitto; perciò ti comando di fare questo”.
Pensando all’ulivo che porta frutto abbondante mi fermo a pensare anche al nostro portare frutto nella testimonianza. Nel Vangelo c’è una piccola parabola che non mi piace tanto! Si tratta del racconto di Gesù che parla dell’albero che non dà frutti buoni. Intendiamoci, Gesù parla correttamente, e si sta rivolgendo chiaramente a chi annuncia falsamente una verità che non è quella di Dio, ma può essere male interpretato:
“Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci! Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dagli spini, o fichi dai rovi? Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni” (Mt 7, 15-20 e anche Lc 6, 43-44). Così ancora in Matteo Mt (12, 33):
“Prendete un albero buono, anche il suo frutto sarà buono. Prendete un albero cattivo, anche il suo frutto sarà cattivo: dal frutto infatti si conosce l’albero”.
“Dai frutti li riconoscerete”: è un principio buono per distinguere il bene dal male, per verificare la bontà o la malvagità di una persona, di un’istituzione o di una proposta. La mia esperienza nel mondo della scuola e della catechesi con tanti bambini, mi ha però portato spesso a fare una considerazione. Ho visto bambini che hanno un’immagine positiva di se stessi e quindi loro non fanno mai niente di male, o meglio credono di non fare mai niente di male: sono alberi dai frutti buoni. Altri bambini invece, magari un po’ più pessimisti, per carattere o per situazione ambientale o familiare, ritengono di non riuscire a fare nulla di bene, di combinare solo pasticci e malanni: l’albero che fa frutti cattivi. Questo è molto rischioso negli anni della formazione della personalità. Ognuno di noi – questo è il mio pensiero – è un albero strano, che fa insieme frutti buoni e frutti cattivi! Solo Gesù è il vero unico albero buono che porta frutti di vita in ogni stagione. Lui è la vera vite e noi tutti siamo i tralci (Gv 15), soggetti a vigorose potature per portare più e miglior frutto.
È lo Spirito, ci dice San Paolo, che viene in nostro aiuto (Rm 8, 26), come canta anche l’antica invocazione allo Spirito Santo, il Veni Creator: Hostem repellas longius (Scaccia più lontano il nemico), perché Dio ha cura di tutte le cose. Diamoci del tempo per far maturare piano piano anche in noi, nei nostri ambienti di vita e di lavoro l’annuncio del Regno, la presenza del Regno, l’accoglienza del Regno e lo stile del Regno. Una maturazione costante che non è opera nostra, ma dono di Dio da accogliere ogni giorno.
Stando sotto l’ulivo ci interroghiamo ancora: Mi lascio veramente ungere e plasmare dall’azione dello Spirito Santo? Ne riconosco la presenza e l’opera o me ne dimentico e lo do sempre per scontato? Quale testimonianza do a chi mi vede in comunità e all’esterno? Amo sostare con Gesù nell’orto della sua Passione condividendone la fatica, la sofferenza, l’impegno e la volontà di offerta e di sacrificio? Vivo quell’“unzione” di cui ama parlare Papa Francesco, diffondendo il buon profumo della carità di Cristo? Mi sento e rimango innestato in lui? Che albero sono? Quali frutti produco?