Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. In memoria dei martiri di Tibhirine– 3° parte

Pubblicato giorno 21 Luglio 2017 - ARTICOLI DEL BLOG, Vita consacrata e monastica

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  1. PERDERE LA VITA: IN GESÙ’ L’AMORE PIÙ GRANDE

 

L’uomo si ritrova allora prigioniero del proprio io, costretto a un a faccia a faccia con la morte. E Dio?

Dio non si stanca di rinnovare misericordiosamente la vocazione dell’uomo alla comunione, promettendogli la vittoria finale della discendenza della donna, dopo una lunga lotta (Gen 3,15; cfr. tutto il libro dell’Ap). L’iniziativa di ristabilire l’uomo nella verità e quindi nell’amore, è di Dio: “E quando per la sua disobbedienza l’uomo perse la tua amicizia, tu non l’hai abbandonato in potere della morte, ma nella tua misericordia a tutti sei venuto incontro, perché coloro che ti cercano ti possano trovare … Padre santo, hai tanto amato il mondo da mandare a noi, nella pienezza dei tempi, il tuo Figlio come Salvatore … E perché non viviamo più per noi stessi, ma per lui che è morto e risorto per noi, ha mandato, o Padre, lo Spirito Santo, primo dono ai credenti a perfezionare la sua opera nel mondo e compiere ogni santificazione”[1].

Gesù apre la sua vita pubblica andando incontro alle tentazioni, sorretto dallo Spirito, manifestando la sua solidarietà con noi e con il Padre; solidarietà che diventa mistero enorme quando, donando la sua vita per noi, Gesù trasfigura il peccato più grande nel miracolo più grande: il perdono di Dio. Gesù sconfigge così la paura della morte. La Croce è l’annuncio del perdono di Dio ma anche l’invito alla sequela offerto ai discepoli: questo amore che perdona esprime la volontà del Padre e costituisce la ragione della venuta di Gesù nella carne. Esso diviene il cuore del comandamento nuovo di Gesù: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15, 12-13). Nella Mulieris Dignitatem Giovanni Paolo II ricorda che l’amore di Gesù è l’amore dello Sposo per la Sposa e che solo nel ricevere l’amore la Sposa può riamare a sua volta (cfr. MD, n. 29). Siamo al centro stesso dell’Alleanza: l’obbedienza a questo comandamento ne è l’espressione profonda ed è, al contempo, il compimento della nostra libertà.

3.1 DEBOLI IN LUI: FRA LIBERTÀ’ E CONCUPISCENZA

L’opera della redenzione realizzata da Gesù non ci ha sradicato dalla tensione dialettica della concupiscenza, residuo del peccato, ma ci ha rivelato nella sua stessa carne la forza attrattiva dell’amore più grande. All’uomo è donato lo Spirito, colui che scrive la legge nel cuore, che anima dal di dentro il dinamismo dell’amore, sollecitandoci a un costante cammino di conversione proprio mentre ci rivela la bontà di Dio.

La concupiscenza, allora, come già il peccato[2], deve aver qualcosa da rivelarci dell’economia della salvezza, qualche valore che altrimenti non sarebbe stato dato nel mondo: ed è il valore della solidarietà, portata fino alle sue estreme conseguenze[3]. “Spontaneamente pensiamo che la santità vada cercata nella direzione opposta al peccato e contiamo su Dio perché il suo amore ci liberi dalla debolezza e dal male e ci permetta di raggiungere la santità. Ma non è così che Dio agisce con noi: la santità non si trova all’opposto, bensì al cuore stesso della tentazione, non ci aspetta al di là della nostra debolezza ma al suo interno … Dimorare nella tentazione e nella debolezza: ecco l’unica via per entrare in contatto con la grazia e diventare un miracolo della misericordia di Dio[4]. L’esperienza di accogliere la luce della verità e dell’amore di Dio fin nel più profondo del cuore, e quindi nelle profondità dei propri dinamismi psichici, tocca il nostro sogno di autonomia, di autorealizzazione, cercata spesso inconsciamente anche nella stessa auto-trascendenza teocentrica, e ne fa un’occasione di grazia, di fiducia in Dio, di totale abbandono a Lui, di solidarietà con i fratelli, in una nudità tanto simile a quella originaria. Così diviene radicale esperienza di alterità attraverso uno sguardo di benevolenza e di misericordia che riconosce all’altro – senza condizioni – la sua amabilità oggettiva. E’ in questo modo che si realizza il comandamento dell’amore, radicato “sulla carità di Gesù, la quale è sorgente e forma della salvezza”[5]. Il contesto di fondo è ancora quello della sequela: “Vi ho dato l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi” (Gv 13,15).

[1] Messale Romano, Preghiera Eucaristica IV

[2] Cfr. Preconio Pasquale: “Felice colpa, che meritò un così grande Redentore”

[3] Cfr. Moltmann, in B. Maggioni, op. cit., p. 130-131; cfr. anche in particolare p. 161-164

[4] A. Louf, Sotto la guida dello Spirito, ed. Qiqajon, 1990, p. 51-52

[5] Loysi, in D. Cancian, Nuovo comandamento nuova alleanza, Collevalenza

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