Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. In memoria dei martiri di Tibhirine– 4° parte

Pubblicato giorno 21 Agosto 2017 - ARTICOLI DEL BLOG, Vita consacrata e monastica

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3.2. VITA DONATA: IL MARTIRE, MIRACOLO DELLA MISERICORDIA DI DIO

Sequela e conversione non sono dunque separabili essendo due volti dell’unico dinamismo dell’amore che risplende nella vita donata di Gesù. Commentando il brano evangelico di Gv 12, 24-26, in occasione del XVI centenario della morte dei tre Martiri Anauniensi, nel Duomo di Trento, il card. Martini ha sottolineato così le esigenze della sequela: “La croce è la chiave di volta della storia della salvezza e Gesù non può proporre altro; per questo pronuncia la parabola del chicco di grano che deve morire e la spiega come un invito alla sequela parallelo ad alcuni testi sinottici. Il seme è Gesù che, attraverso la morte di croce porterà frutto abbondante donando la vita per tutti gli uomini. La sua affermazione è dunque cristologica, non ascetica, e le esortazioni che seguono tendono ad assimilare il discepolo al maestro: ‘Dove sono io là sarà anche il mio servo’”[1]. Questa assimilazione, che costituisce l’identità del cristiano, è particolarmente eloquente nella vita dei martiri. Nell’omelia citata, il card. Martini domandava: “Cosa dice alla nostra Chiesa e a ciascuno di noi il martirio cruento di Sisinio, Martirio e Alessandro? … Dice che solo nella croce si attua la piena liberazione dal male, se ne accettiamo le conseguenze su di noi per perdonarlo e superarlo, come ha fatto Gesù”[2].

santi martiri anauniesi

Non è forse l’accettazione delle conseguenze del male il primo passo che apre il cuore del discepolo alla chiamata all’auto-trascendenza nell’amore? E’ quanto ci lascia intendere la voce di un testimone, fr. Christian M. de Chergé, ucciso con altri sei confratelli trappisti in Algeria nel 1996: “Ho vissuto abbastanza per sapermi complice del male che sembra, ahimè, prevalere nel mondo e anche di quello che potrebbe colpirmi alla cieca. Venuto il momento, vorrei poter avere quel attimo di lucidità che mi permettesse di chiedere il perdono di Dio e quello dei miei fratelli in umanità, perdonando con tutto il cuore, nello stesso momento, a chi mi avesse colpito … E anche tu, amico dell’ultimo istante, che non saprai quello che starai facendo, sì, anche per te io voglio dire questo GRAZIE, e questo AD-DIO, nel cui volto ti contemplo. E che ci sia dato di incontrarci di nuovo, ladroni colmati di gioia, in paradiso, se piace a Dio, Padre nostro, Padre di tutti e due”[3].

La via della solidarietà senza confini che l’amore più grande vuole plasmare nell’uomo, porta ciascuno al cuore di quella lotta per una sempre maggiore libertà di amare: “Le parole dei salmi resistono, fanno corpo con la situazione di violenza, di menzogna, di angoscia, di ingiustizia. Sì, ci sono dei nemici. Non si può costringerci a dire troppo in fretta che li amiamo, senza che ciò costituisca una ingiuria alla memoria delle vittime il cui numero cresce di giorno in giorno. Dio Santo! Dio forte! Vieni in nostro aiuto! Affrettati, non tardare”[4].

E’ lotta che chiede di superare la paura di perdere la vita[5], che diviene umile ricerca del bene concreto – aperto a un sempre possibile miglioramento, perché il bene sta sempre oltre – e non attenua la forza del paradosso cristiano, come eloquentemente esprime un altro dei martiri trappisti, fr. Paul Favre Miville: “Fin dove spingersi per salvare la pelle senza correre il rischio di perdere la vita? Uno solo conosce il giorno e l’ora della nostra piena liberazione in Lui … Dobbiamo essere disponibili affinché possa agire in noi attraverso la preghiera e la presenza amorosa accanto ai nostri fratelli”[6]. La libertà di amare si accresce man mano che si porta a livello di coscienza la forza di seduzione del bene apparente, della logica del salvare la vita, e man mano che, nel confronto con i propri valori di riferimento, si impara a compiere scelte totalizzanti orientate nella direzione dell’auto-trascendenza nell’amore teocentrico.

Questo mi pare essere il messaggio umile e imitabile che i martiri di ogni tempo ci affidano e che il papa ha indicato ai giovani: “Credere in Gesù comporta una presa di posizione per lui e non di rado quasi un nuovo martirio: il martirio di chi, oggi come ieri, è chiamato ad andare controcorrente per seguire il Maestro divino”[7]. Rivolgendosi ancora ai due milioni di giovani raccolti a Tor Vergata per la veglia della GMG, Giovanni Paolo II ha detto: “forse a voi non verrà chiesto il sangue, ma la fedeltà a Cristo certamente sì”. Davanti al bene apparente non si può dimenticare che la verità profonda dell’uomo è nella dipendenza da Dio e nella libertà che Cristo ci ha conquistato[8].

[1] C. M. Martini, L’amico importuno, EDB, 1998, p. 307 ss

[2] Idem

[3] B. Olivera, op. cit., p. 8-9

[4] Idem, p. 62 (riflessione di Fr. Christophe Lebreton)

[5] Idem, p. 62

[6] Comunità di Bose (a cura di), Più forti dell’odio, Piemme, 1997, p. 131

[7] Giovanni Paolo II, omelia cit., p. 5

[8] idem

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