Non l’avrei mai detto! La scoperta drammatica di chi siamo veramente – Omelia di p. Gaetano Piccolo SJ per la XXIV domenica anno B

Pubblicato giorno 14 Settembre 2018 - ARTICOLI DEL BLOG, Omelie di p. Gaetano Piccolo SJ

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dal sito Rigantur mentes

Dopo i primi rifiuti, e le prime risate, ella non osò cercare più oltre, e si chiuse nella sua casipola, al pari di un uccelletto ferito che va a rannicchiarsi nel suo nido.

(Verga, Nedda)

Il conflitto è spesso il luogo in cui dolorosamente impariamo cose impensate su di noi. Ciò che per pudore ci era nascosto, improvvisamente si trova svelato.

Mentre in queste sere leggevo Nedda, una delle prime novelle di Verga, partecipavo al dolore di quella povera ragazza che rimane incinta dell’uomo che ama, ma gli eventi faticosi di una vita di stenti continuano ad allontanare la data del matrimonio, fino a quando Janu, il promesso sposo, muore. Nedda si ritrova così madre senza un marito, rifiutata dalla società e dalla Chiesa. L’immagine che le rimandano è quello di una grande peccatrice e Nedda accetta di portare su di sé questo giudizio, sebbene il lettore conosca qualcos’altro di Nedda e si ritrovi emotivamente a prendere le sue parti.

Chi è dunque Nedda? Chi sono io?

La conoscenza di noi stessi, la costruzione della nostra identità, è un percorso faticoso e complesso. In questo passo del Vangelo, anche Gesù affronta la fatica di mettersi davanti all’idea che gli altri hanno di lui. La domanda che Gesù rivolge ai discepoli si colloca nella percezione di un suo fallimento apostolico. Gesù intuisce che qualcosa non ha funzionato e cerca pertanto di capire cosa sia successo. È sempre una fase delicata della nostra vita. Per lo più facciamo finta di non accorgerci del nostro fallimento, proviamo a darci giustificazioni paradossali, difendiamo la nostra immagine strenuamente per non metterla in discussione.

La risposta dei discepoli evidenzia effettivamente che la gente ha recepito il messaggio di Gesù in maniera parziale: alcuni hanno ritrovato in lui qualcosa della figura del Battista, un predicatore, magari un moralizzatore, altri credono che sia Elia ritornato sulla terra, il profeta rivoluzionario, forte e deciso, altri sembra che non abbiano colto nessuna novità col passato, perché dicono di vedere in lui semplicemente un profeta.

Ma la domanda più importante è quella che viene dopo. Una domanda personale. Siamo più o meno al centro del Vangelo di Marco e secondo alcuni studiosi ci troviamo nel punto decisivo del racconto. Gesù chiede ai discepoli di rispondere in prima persona a quella domanda. Chiede a noi di rispondere oggi, in questo momento della nostra vita: dopo aver camminato con me, tanto o poco che sia, ora, chi sono io per te? Dopo questo tempo insieme, cosa hai capito di me?

È la domanda che ogni discepolo, in ogni tempo, si sente rivolgere da Gesù in maniera drammatica. Siamo invitati a riconoscere con onestà cosa è avvenuto nella nostra relazione con Gesù.

Pietro intuisce qualcosa, non tanto per convinzione, ma perché quella parola si è sedimentata in lui. La raccoglie dal suo cuore, forse senza crederci troppo, senza averla capita pienamente, e la restituisce al maestro: “Tu sei il Cristo!”.

È una parola personale, una parola che non va diffusa, non va svenduta. Gesù, come spesso nel Vangelo di Marco, chiede di custodire quella comprensione, perché ciascuno è chiamato a fare un cammino personale per riconoscere che Gesù è il Cristo: non si tratta di una dottrina, ma di un’esperienza personale, in cui nessuno può sostituirci.

Molte volte però dietro le idee che professiamo si nasconde in realtà l’immagine di Dio che ci piace. Ciascuno di noi, come Pietro, dietro le parole si costruisce la propria immagine di Dio.

In fondo al cuore c’è un idolo nascosto, la nostra immagine di Dio che difendiamo strenuamente dagli attacchi della realtà. Pietro per esempio rifiuta l’idea di un Dio che soffre, si è costruito l’idea di un Dio sempre vittorioso, un Dio che ci rende partecipi della sua gloria senza farci passare attraverso il dolore e l’umiliazione. Non è il Dio della Bibbia, ma il Dio personale di Pietro.

Anche noi molte volte siamo abitati dal Dio che ci siamo costruiti, ci portiamo dentro il nostro idolo, che non è il Dio che Gesù ci ha rivelato. Come Pietro, spesso facciamo fatica ad accettare l’idea di un Dio che ci chiede di essergli accanto anche nella via del dolore, fermandoci sotto la croce.

Quando decidiamo di difendere la nostra idea di Dio, smettiamo di essere discepoli. Come Pietro, ci siamo messi davanti a Dio, vogliamo indicargli noi la via da seguire, abbiamo noi la soluzione per Gesù. E allora, come duramente Gesù si rivolge a Pietro, così fa anche con noi, ci invita a riprendere la nostra posizione: il discepolo sta dietro al maestro, vede dove il maestro mette i piedi, impara a riconoscere la strada che il maestro ha scelto di percorrere. Il discepolo si fida e segue. Il discepolo impara, non insegna.

Si diventa discepoli solo quando si è disposti a sostituire la croce al proprio io: rinnegare se stessi vuol dire mettere da parte le proprie ragioni, il proprio egoismo, le proprie rivendicazioni, per fare spazio alla logica del vangelo. Ecco qual è la croce da as-sumere ogni giorno (sumo in latino vuol dire prendere). Ogni giorno occorre spogliarsi della propria logica per fare spazio alla logica della croce, cioè al Vangelo. Siamo chiamati a scegliere ogni giorno, assumendo come criterio la logica del Vangelo. E questa è la fatica quotidiana del discepolo.

La logica del Vangelo ci permette di vivere la vita pienamente, perché ci aiuta a riconoscere che la vita non ci appartiene: la vita è un dono che siamo chiamati a restituire. L’unica cosa che possiamo fare con la nostra vita è donarla, cioè perderla, non tentare di possederla. La vita diventa piena perciò solo nel momento in cui è donata. La perdiamo invece quando ci illudiamo di farne un nostro possesso, una nostra egoistica proprietà, quando decidiamo di vivercela solo per noi stessi. La logica della croce non è infatti la logica funerea del dolore, la logica della croce è quella di una vita pienamente donata e perciò pienamente realizzata.

Leggersi dentro

–          Se ti fermi a riflettere, quale immagine di te ti stanno rimandando gli altri? ti senti capito o frainteso?

–          A quale logica sono state ispirate le tue scelte più recenti?

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