
Un “umanesimo della tenerezza” è ciò che caratterizza la spiritualità, il pensiero e l’azione della clarissa Giovanna Maria della Croce (1603-1673) secondo Alessandro Vetuli.
Tale espressione pare coniugare il magistero di Giovanni Paolo II – Benedetto VI con quello di papa Francesco: se i primi due hanno richiamato la necessità di un nuovo umanesimo in cui fosse presente fides et ratio, il secondo fin dall’elezione ha menzionato la tenerezza. Infatti nell’omelia pronunciata il 19 marzo 2013, solennità di san Giuseppe, in occasione della celebrazione eucaristica d’inizio pontificato ha detto: “Non dobbiamo avere paura della bontà, anzi neanche della tenerezza! E qui aggiungo, allora, un’ulteriore annotazione: il prendersi cura, il custodire chiede bontà, chiede di essere vissuto con tenerezza. Nei Vangeli, san Giuseppe appare come un uomo forte, coraggioso, lavoratore, ma nel suo animo emerge una grande tenerezza, che non è la virtù del debole, anzi, al contrario, denota fortezza d’animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all’altro, capacità di amore. Non dobbiamo avere timore della bontà, della tenerezza!”.
Questo prendersi cura diventa per papa Francesco “ecologia integrale” come espresso nell’enciclica Laudato sì: non più una contrapposizione tra ecologia naturale ed ecologia umana ma un custodire integralmente il creato.
Tale proposta è una visione unitaria della realtà che può essere a buon diritto definita “umanesimo della tenerezza”; ecco perché la conoscenza dell’esperienza cristiana e francescana della venerabile Giovanna Maria della Croce può aiutare a essere missionari declinando nell’oggi il Vangelo, ossia la vita nuova che scaturisce dalla sequela di Gesù.